Segmentare l’euro in due facendo uscire “dall’alto” gli Stati più forti come la Germania e i Paesi Bassi. È la proposta contenuta nel Manifesto di solidarietà europea, che sarà presentato oggi a Parigi. Tra i firmatari ci sono economisti di tutti i paesi europei e di ogni estrazione politica. Due gli italiani di spicco, Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università di Pescara, e Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Bagnai per chiedergli di illustrare i contenuti del Manifesto.



Per quale motivo avete deciso di presentare un Manifesto in cui proponete la “segmentazione” dell’euro?

Nel Manifesto abbiamo individuato le reali cause della crisi dell’Eurozona e proposto un percorso politicamente realizzabile per trovare una soluzione. Gli economisti da più di 50 anni hanno sottolineato che un’integrazione monetaria a tappe forzate mina la pacifica convivenza dei paesi europei e la possibilità di un’effettiva integrazione politica. Queste considerazioni erano state espresse fin dal 1957, ancora prima che si parlasse di euro, dal premio Nobel James Edward Meade.



Le previsioni di Meade sono state fatte proprie anche da altri economisti?

Nel 1971, un anno dopo la pubblicazione del piano Werner, il primo progetto per l’integrazione economica e monetaria, Nicholas Kaldor dichiarò che se si fosse fatta l’unione monetaria prima di quella politica si sarebbe andati incontro al rischio di disgregazione del continente europeo. Nel 1997 Martin Stuart Feldstein, capo dipartimento all’Università di Harvard, aveva chiaramente detto che il trattato sull’unione economica monetaria poneva il processo di integrazione europea di fronte a gravi rischi. Il nostro Manifesto fa propria la lezione dei massimi economisti mondiali sulle cause della malattia europea e sulle ricette necessarie per curarla.



In che cosa consiste la novità del Manifesto?

In primo luogo nel fatto che ad aderirvi siano personalità provenienti da tutti i paesi europei e di qualsiasi orientamento politico. Questo non è il manifesto degli intellettuali italiani o di una loro parrocchia più o meno di sinistra, ma un documento assolutamente trasversale in termini geografici e politici. A sottoscriverlo sono stati sia studiosi marxisti o di sinistra, sia economisti più ortodossi.

Nel vostro Manifesto si descrive la Germania come la causa di tutti i mali europei?

No. In Italia abbiamo assistito tutti ad appelli sulla falsariga de “La colpa è tutta della Germania e se non fa quello che diciamo noi ce ne andiamo”. Si tratta di proposte articolate da un punto di vista politico su una logica di minaccia, che non condividiamo. Non nego che la Germania abbia delle grosse responsabilità nella gestione della crisi, ma non trovo che sia un atteggiamento politicamente intelligente quello di minacciare, perché come scrive Giovanni Botero, “le minacce sono armi del minacciato”.

 

Cioè rafforzano la Germania?

Diciamo che trovo inutile che l’Italia, da una posizione di debolezza, vada a puntare il dito contro la Merkel, perché si tratta di un atteggiamento che non è né credibile, né sostenibile politicamente. In Italia non esiste un movimento politico che appoggerebbe un’uscita del nostro Paese dall’euro.

 

In che modo il vostro Manifesto si differenzia da chi vuole “minacciare” la Merkel?

Il Manifesto parte da una posizione di solidarietà, cioè dal principio che con la nascita dell’euro si sono generati dei costi che vanno condivisi. L’uscita dalla moneta unica dei Paesi del Nord è un ovvio strumento per condividere i costi dell’aggiustamento. Questi Stati uscendo vedrebbero rivalutata la loro moneta, e quindi almeno in parte svalutati i loro crediti. Perderebbero inoltre la posizione di vantaggio competitivo in termini di prezzo che l’euro dà loro. I Paesi del Nord rinunciano a qualcosa, e quindi condividono i costi dell’aggiustamento, ma lo fanno perché questo è l’unico modo per fare ripartire l’economia europea, dalla cui lenta agonia non guadagnerebbero nulla nemmeno loro.

 

Che cosa ne pensa invece del fatto che la Corte costituzionale tedesca sia stata chiamata a pronunciarsi sul programma Omt della Bce?

Quanto sta avvenendo è la dimostrazione del fatto che parlare di più Europa è un’utopia. La Banca centrale è proposta in Europa come presidio di democrazia, ma negli Stati Uniti e nel Regno Unito è vista in termini molto più critici, e la vicenda del ricorso contro l’Omt documenta il fatto che l’indipendenza dell’Eurotower è soltanto un teorema senza agganci con la realtà.

 

La Bce oggi è sotto schiaffo?

La Bce è sotto schiaffo da parte di istanze espresse dalla Germania, e questo non solo era prevedibile, ma dimostra anche che l’Eurotower non è la banca di tutti gli europei. Del resto i motivi per i quali sono stati ritardati colpevolmente i soccorsi alla Grecia, aggravando la crisi, sono ormai chiari a tutti.

 

Secondo Francesco Forte, il ricorso di fronte alla Corte tedesca non sarebbe un arbitrio, ma una possibilità prevista da una clausola a Maastricht…

Non contesto il diritto dei contribuenti tedeschi di essere tutelati dalla loro Corte costituzionale rispetto a decisioni che rischiano di avere dei riflessi sul loro bilancio e sulla loro economia. Ciò che mi lascia perplesso è il fatto che in Italia a livello di Corte costituzionale non si sia trovato il modo di contestare la legittimità di provvedimenti come il Fiscal compact, che illustri giuristi come Giuseppe Guarino hanno ampiamente dimostrato essere ampiamente contrari ai principi della nostra Costituzione.

 

(Pietro Vernizzi)

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