Giovanni Pitruzzella, Presidente dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, ha presentato ieri il rapporto annuale dell’Antitrust nella Sala della Regina di Montecitorio. La presentazione di un Rapporto Ocse su temi analoghi è programmata il 21 giugno in locali del Senato. Il 26 giugno alla Biblioteca Spadolini del Senato verrà presentato l’undicesimo rapporto dell’Associazione Società Libera, volume dal titolo eloquente: “Liberalizzazioni; crisi di un modello in un Paese in crisi”. Il 2 luglio, sempre nella Sala della Regina della sede della Camera dei Deputati, sarà la volta del documento annuale della Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sui servizi pubblici essenziali. Quattro occasioni nell’arco di due settimane in cui due Autorità regolatorie, un’organizzazione internazionale e un’associazione consolidata di studiosi tratteranno diverse facce dello stesso tema. Le liberalizzazioni – strumento essenziale per tornare a crescere – sembrano essere diventate argomento di conversazione da salotto buono. Non chiacchiere da bar: se ne parla in bei saloni di Palazzi istituzionali. Ma di concreto si fa poco o nulla.



Il testo integrale della Relazione dell’Antitrust non è una geremiade. Ma ci si avvicina. «In molti settori – ha affermato Pitruzzella – la concorrenza non è ancora soddisfacente e i prezzi salgono. È il caso, ad esempio, del Rc auto, dove il premio medio in Italia è più del doppio di quello pagato in Francia e Portogallo, supera quello tedesco dell’80% e quello olandese di quasi il 70%». Nell’elettricità, inoltre, «si stanno verificando cambiamenti profondi carichi di insidie. I consumi in calo e la diffusione delle rinnovabili fanno sì che gli impianti termoelettrici non riescano a coprire i costi e il mercato tenda a concentrarsi»: “probabili” i rincari. Qualcosa si è fatto nel settore delle poste «con importanti risultati sotto il profilo dell’apertura della concorrenza, ma esistono ancora spazi d’intervento al fine di favorire l’ingresso di nuovi operatori realmente competitivi rispetto all’incumbent». Il servizio universale dovrebbe essere limitato «esclusivamente a quei servizi essenziali che l’utente non sarebbe altrimenti in grado di acquistare a titolo individuale».



Infine, l’operatività dell’Autorità dei trasporti non può più essere rinviata, poiché deve «vigilare sulla “terzietà” della gestione di tutte le infrastrutture ritenute essenziali per lo svolgimento di un corretto confronto concorrenziale nei servizi di trasporto ferroviario merci e passeggeri». Occorre, inoltre, chiedere reciprocità almeno in seno all’Unione europea, poiché «l’esistenza di un livello non omogeneo di liberalizzazione nei diversi Stati rappresenta un ostacolo sulla via della reciprocità e della piena affermazione del mercato unico».

I lettori diranno che suggerimenti analoghi sono stati già dati in passato – sia prossimo che remoto. Verranno, verosimilmente, ribaditi negli appuntamenti dei prossimi giorni. Fiori di editorialisti (di centrodestra e di centrosinistra) scriveranno che si tratta di “cose buone e giuste” da attuare speditamente – specialmente quelle che sono un vero pugno nell’occhio (RC auto, elettricità, poste). Tuttavia, è verosimile che si resti alle conversazioni da salotto buono.



Così come è avvenuto per il programma di liberalizzazioni scritto da Antonio Martino negli anni Novanta, per le “lenzuolate” di Pier Luigi Bersani di qualche anno fa, per il “Cresci-Italia” del Governo Monti. Ciò che non è stato affossato nei corridoi del potere dalla burocrazia, è stato insabbiato dal Parlamento.

C’è, però, una speranza. Proviene non dalle Autorità e dal loro impegno e dagli intellettuali volenterosi, ma dal negoziato Transatlantic Trade and Investment Partnership che dovrebbe portare a una vasta area economica (mercato comune e non solo) tra Nord America (Usa, Canada) e Ue. All’interno di questa area, ci devono essere le stesse regole. Se il Continente vecchio non sa darsene di efficaci, l’altra sponda dell’Atlantico (dove ho vissuto per più di 15 anni) ha lezioni da dare.

Per questo chi crede nella libertà, deve opporsi ai tentativi di frenare il negoziato con “eccezioni culturali” (per l’audiovisivo) che sinora hanno voluto dire finanziamenti dei contribuenti a sedicenti artisti ideali per le chiacchiere da bar e qualche volta per conversazioni da salotto, ma i cui prodotti non reggono nelle sale che alcuni giorni.