Tranquilli, è un bluff. Criminale, senza subbio, ma pur sempre un bluff. Stando a quanto scriveva il sito del Financial Times, il Fondo monetario internazionale avrebbe minacciato di sospendere da luglio la sua partecipazione al salvataggio di Atene se i governi europei non si impegneranno a coprire un nuovo “buco” di 3-4 miliardi di euro che è emerso nel piano di finanziamenti per complessivi 172 miliardi. Il nuovo ammanco sarebbe dovuto da un lato ai ritardi nel programma di privatizzazioni concordato dal governo di Atene e dall’altro al rifiuto di alcune banche centrali di rinnovare l’acquisto di bond greci in scadenza e di versare alla Grecia le plusvalenze realizzate sul primo prestito concesso al Paese.
Detta così può far paura, visto che se non paga il Fmi quei 3-4 miliardi devono tirarli fuori i greci – impossibile – o l’Europa, altrettanto improbabile visto il voto di settembre in Germania e la richiesta di rinegoziazione del salvataggio avanzata due giorni fa da Cipro e già rispedita al mittente dalla Commissione. Ma come vi dicevo, si tratta di un bluff. Il Fondo monetario sta mostrando i muscoli alla Grecia perché ritiene che il governo di Atene stia facendo troppo poco per onorare i suoi impegni e, dall’altra parte, mostra i denti all’Ue dopo la stizzita reazione della stessa al mea culpa dell’istituto di Washington proprio sulla ricetta di sola austerity usata in Grecia.
A darci una conferma indiretta di questa strategia è stato David Lipton, vice-direttore operativo proprio del Fmi intercettato da Cnbc all’International Economic Forum di San Pietroburgo: «Questi discorsi sono prematuri, stiamo ancora discutendo con la Grecia. Se si troverà un accordo entro la fine di luglio, allora saranno garantiti i finanziamenti per l’anno successivo». C’è comunque da dire che anche Atene – intesa come governo – ha la sua buona fetta di responsabilità: parte dell’ammanco giunge proprio dal ritardo accumulato nel piano di privatizzazioni, confusionario come non mai e certificato dalla desolante asta per la vendita della Depa, l’azienda del gas. Asta deserta, nessuna offerta vincolante e Gazprom, unica plausibile pretendente, messa in fuga da schermaglie burocratiche, accuse di monopolio e prezzo d’asta decisamente gonfiato. Fatti due conti della serva, il solo fallimento di questa privatizzazione ha creato un mancato incasso da circa 900 milioni di euro.
Resta però la minaccia: quell’ammanco, di fatto una cifra tra i 3,7 e i 4 miliardi di euro, deve essere coperto dai governi europei. E qui si apre la vera partita, non tanto e non solo sui soldi: per la prima volta la Grecia diventa la pallina da ping pong con cui viene giocata una partita tra Fmi e Ue, non più uno scontro fra troika e un Paese periferico in crisi. Inoltre, c’è il dato politico interno greco. Ieri mattina il leader di Sinistra Democratica, Fotis Kouvelis, ha annunciato che il suo partito ritirerà i ministri dal governo di coalizione, una rappresaglia per la vicenda della tv pubblica Ert che non metterebbe però in crisi l’esecutivo, poiché Kouvelis e i suoi garantirebbero comunque l’appoggio politico esterno. Per quanto, però? E a quali condizioni? Un appello al “senso di responsabilità” è venuto addirittura dal commissario Ue agli affari economici, Olli Rehn, il quale ha invitato Atene a ritrovare la stabilità necessaria nell’attuale situazione politica per fare quelle riforme indispensabili affinché il programma di aiuti vada avanti.
Motivo della rottura tra Venizelos (Pasok) e Kouvelis, le divergenze sorte tra i leader riguardo il numero dei dipendenti della Ert che dovrebbero essere riassunti nella nuova azienda tv statale e il tipo di contratto che dovrebbe essere loro garantito. Insomma, la Rai greca rischia di portare il Paese di nuovo nel caos istituzionale. Venizelos, da parte sua, ha detto che il Pasok continuerà a sostenere il governo, perché non vuole la crisi, né le elezioni anticipate, ma ha anche ribadito senza mezzi termini che adesso occorre mettere da parte la questione della Ert e discutere di problemi più seri come quello dell’aggiornamento dell’accordo programmatico fra i partiti che compongono il governo.
Insomma, un gran pasticcio. L’ennesimo. Che però non deve stupirci. La Grecia è fallita da tempo, si vuole soltanto mantenerla in vita fino a quando farà comodo, ma nelle stanze che contano la strategia è chiara da tempo: fiaccare Atene e con essa Cipro e costringerli ad andarsene volontariamente dall’euro, aprendo uno scenario completamente nuovo in seno all’Unione. Non si spiega altrimenti quanto accaduto nell’ultimo mese, esattamente dal farsesco upgrade del rating sovrano greco operato di Fitch, mossa talmente strumentale da portare il governo greco a rendere noto come dal prossimo anno la Grecia sarebbe potuta tornare sui mercati di finanziamento: troppo uzo a volte fa dare i numeri.
Una cosa è certa: c’è qualcuno che sta manovrando la vicenda. C’è un joy-stick invisibile, c’è una regia che sta pilotando la situazione greca. Ce lo conferma Wolfango Piccoli, direttore operativo alla Teneo Intelligence, a detta del quale, «nonostante le attuali turbolenze politiche, è molto improbabile che il governo collassi in tempi brevi e si giunga a uno scenario di elezioni anticipate. Diversamente, l’instabilità politica se dovesse crescere potrebbe aprire la porta all’ipotesi di ritorno alle urne nel medio termine». Per David Lea, analista per l’Europa alla Control Risks, «una crisi politica non sarebbe accettata dalla troika, nessuno però pensa che il governo attualmente in carica possa resistere più di due anni, metà della legislatura. Ora siamo a un quarto. Al momento, non vedo rischi di collasso. Inoltre, quella del Fmi mi pare solamente una minaccia. Certo, la Grecia non è completamente conforme agli obiettivi prefissati, ma stanno facendo il minimo sindacale affinché nessuno si arrabbi troppo con loro. Perché la troika dovrebbe scegliere l’opzione nucleare quando il clima è relativamente tranquillo e il concetto di “Greecovery” è in atto, anche se con toni esageratamente entusiasti».
Già, troppo entusiasmo. Lo dico da mesi. Guardate questo grafico: ci mostra l’andamento ieri mattina del prezzo del nuovo bond decennale ristrutturato greco, quello di cui molte banche centrali non hanno voluto rinnovare l’acquisto contribuendo al “buco”. Da metà aprile ha perso il 22,48% e ieri era trattato a 52,953 centesimi sull’euro: sapete cosa vuol dire? Che se rompe il supporto di 50 fissato per quest’anno, parte la sell-off e viene giù tutto per chi se lo ritrova in portafoglio. Le banche centrali no, loro col kaiser che l’hanno ricomprato: molte banche commerciali sì, però, e ora cercano disperatamente di piazzarli da qualche parte, quasi a qualsiasi prezzo.
Occhio alla Borsa di Stoccarda, dove si trattano derivati e obbligazioni sovrane e dove i tedeschi fanno il lavoro sporco per evitare di sporcare la reputazione del Dax di Francoforte: potremmo scoprire, ancora una volta, chi è il regista della grande tragedia – o farsa – greca. E ieri i dati parlavano chiaro: nella tabella dei bond asovrani con le performance peggiori, tolto il peggio del peggio che era rappresentato dall’Argentina con un rotondo -16,57% (si trattava però del bond con scadenza 2049 che ha pagato l’interesse del 9% due giorni fa, quindi ieri tutti a vendere: eh sì, l’Argentina è in salute…), tutta la colonna era monopolizzata da obbligazioni greche di varie scadenze con variazioni e volumi che parlavano già la lingua del panico montante. Ma non solo. A guidare i tonfi, ovvero le vendite, c’era il bond con scadenza 2030 con un bel -8,62%, poi quello 2033 con -7,99%, poi ancora il 2040 con -7,51%. E non è finita. Il 2042 a -7,49%, il 2031 a -7,39%, il 2026 a -6,67%, il 2041 a -6,48% e il 2037 a -6,22%. Il decennale perdeva “solo” il 5,34%.
Che significa questo? Che sul benchmark, il 10 anni appunto, si comincia a temere, ma c’è ancora un barlume di fiducia di poter vendere a un prezzo migliore, sperando che la situazione si sblocchi, mentre sulle scadenze lunghe le banche stanno scaricando l’impossibile già oggi. Il frutto amaro e un po’ marcio dello swap è in vendita a prezzo di quasi saldo a Stoccarda, un’altra volta. La Grecia, si sa, è piccola, la sua economia conta solo per il 2% dell’Ue, ma guardate in questo grafico come ha reagito l’indice Standard&Poor’s 500 giovedì pomeriggio quando il Financial Times ha sparato la minaccia del Fmi… Attenti a scherzare con il fuoco, questa volta.