E così l’italica frase di gattopardesca memoria “Cambiare tutto affinché nulla cambi” pare proprio calzare a pennello in ogni angolo del nostro disastrato Paese, pure nei cieli. Infatti, siamo ancora qui dopo 5 anni a riparlare di una Fenice che, presentata in pompa magna e con tutta l’enfasi mediatica, di decollare o risorgere non ne ha proprio voglia. Avrete capito che stiamo parlando di Alitalia… pardon di Cai.
I roboanti comunicati che si sono succeduti fin dalla sua nascita, le dichiarazioni patriottiche per il salvataggio, le promesse mai mantenute sono qui adesso a commentarci il miracolo. Eh sì, perché di miracolo si deve proprio parlare. Davvero non si capisce come un’azienda con 60 anni di storia, nella situazione fallimentare in cui era, ereditata da un gruppo di “industriali” e solo per la parte buona, cioè quella senza perdite, con uno Stato che abbonda scandalosamente di aiuti di ogni genere scaricando le perdite sul solito Pantalone (cioè noi) possa riuscire nel “miracolo” di riprodurre fedelmente tutte le caratteristiche della vecchia Alitalia, superandola addirittura nel passivo. Viene da pensare che chi per anni ha preso le redini della compagnia lo abbia fatto credendola un’industria qualsiasi, non un’entità dove occorra una grandissima cultura del settore per tentare di recuperarla.
La cultura del settore è stata invece abbondantemente tagliata, con i 10.000 licenziamenti che, caso unico in Italia, hanno riguardato le persone con più anzianità, ergo know-how, buttato letteralmente nella spazzatura, addirittura colpevolizzandolo di essere il male da estirpare. Quale male fosse lo si è visto anche di recente, quando un aereo di una compagnia low cost è stato miracolosamente salvato da un atterraggio compiuto a Fiumicino con tutti gli “attributi” del caso da un comandante italiano… ex cassintegrato della gloriosa compagnia di bandiera.
E così eccoci arrivati all’ennesimo nuovo Amministratore delegato, film già visto anni fa nel 1998, quando Alitalia si trovò dalle stelle di diventare il più grosso vettore europeo con un hub di importanza strategica come Malpensa a sua disposizione, alle stalle di un progetto fallito a causa della politica comunitaria (nel senso di Comune di medioevale retaggio) completamente mancante della parola “sistema Paese”. Anche lì iniziò un valzer di amministratori, che terminò con il commissario fallimentare. Qui siamo già arrivati al terzo: a Gabriele Del Torchio facciamo tutti gli auguri possibili, ma, benché già artefice del salvataggio di un’altro simbolo del made in Italy quale Ducati, il lasso di tempo a sua disposizione è straordinariamente breve e il settore talmente complicato, proprio per la sua cultura, che davvero stavolta un miracolo (in positivo però) sarebbe necessario.
Tutto cambia, nulla cambia: perché Cai è ancora troppo piccola per considerarsi un vettore globale, ma troppo grande per essere un Regional (vedi vecchia AZ), perché la sua incapacità di effettuare ricavi è ormai storica (vedi vecchia AZ), perché sono anni che si dice (almeno chi di economia del trasporto aereo mastica qualcosa) che una compagnia basata sul medio raggio o sui voli nazionali non può decollare perché non in grado di sostenere la concorrenza delle low cost e dell’alta velocità ferroviaria (vedi vecchia AZ) e perché abbassare il costo del lavoro fino a raggiungere e superare limiti da low cost produce più danni che benefici.
Le prime dichiarazioni del nuovo manager sono in pratica una sconfessione del piano Fenice che appartiene ormai al passato (ed è costato altri soldi). Dato che i danni di anni di politiche sbagliate e, sopratutto, l’enorme mole di aerei di lungo raggio non si leniscono o si acquisiscono in poco tempo, viene da pensare ad altri tagli che possano ridurre il più possibile le perdite, ma anche l’operatività, della ex compagnia di bandiera, in attesa del salto di qualità che dovrebbe potersi intravedere a partire da ottobre, ma anche più in là.
Certo è che una cosa si dovrebbe sapere e subito: ossia se chi governa l’Italia abbia chiaro in testa se il trasporto aereo serva a qualcosa oppure si debba affidarlo ad altri (che naturalmente faranno i loro interessi) e quindi “Alitalia amen”: visto che ci ritroviamo ancora con un Paese dagli enormi vantaggi nel settore (turismo ed emigrazione ai 4 angoli del globo tra gli altri) sarebbe opportuno che qualche interventuccio si mettesse in piedi, a meno di resuscitare l’Andrea Doria, la Michelangelo e la Raffaello, cosa abbastanza sconveniente mi pare. E allora perché non fare qualcosa di intelligente considerando anche l’appeal della nostra beneamata Penisola nel mondo?
C’è una situazione, a mio parere, che si sta sviluppando e potrebbe quasi permetterci di rivivere i fasti di quel ‘98, ma stavolta in modo intelligente. Vediamola. Il trasporto aereo è in crisi da un bel po’ di tempo e lo si sa, come pure che l’Air France non è più disposta ad accollarsi il carrozzone italiano come nel 2008 a causa anche di problemi suoi molto grossi di bilancio. Una sua crescita di partecipazione (attualmente ha il 25% di azioni di Cai) sarebbe minima e comunque taglierebbe molto network italiano a favore del vettore transalpino che opererebbe molti voli intercontinentali via Parigi. Le uniche compagnie aeree bisognose di sviluppo in Europa, specialmente al centro di un Mediterraneo che cascherebbe proprio a fagiolo per i loro piani, sono quelle dei Paesi Arabi del Golfo Persico.
Si parla tanto di Ethiad, un vettore che sul piatto oltre ai soldi metterebbe pure una cinquantina di opzioni per aerei di lungo raggio in tre anni: proprio quello che fa al caso di Cai. Però le regole Ue impedirebbero al vettore arabo di papparsi l’intera torta. Ecco allora la soluzione del problema: l’entrata in campo delle Ferrovie, che proprio l’altro giorno hanno smentito il loro intereresse per Alitalia, quindi possiamo stare tranquilli (visti altri precedenti proprio nel settore) che invece alla fine qualcosa di concreto c’è.
L’osmosi tra le due entità, con le Ferrovie al 51%, sarebbe vantaggiosa per tutti, ma permetterebbe all’Italia un’unione tra due sistemi di trasporti la cui complementarietà di sicuro gioverebbe alla Nazione e permetterebbe pure la rinascita di due aeroporti come Fiumicino e Malpensa, con missioni differenti ma non più in concorrenza. Attualmente il bacino del Mediterraneo sta subendo una forte spinta da parte del vettore Turkish che ha esteso il suo network anche all’America Latina: la Turchia si trova però obiettivamente in una posizione strategica sbilanciata rispetto all’Italia, che oltretutto ha i due aeroporti già citati al centro sia del Mare Nostrum che dell’Europa del nord.
Con buona pace di Tomasi di Lampedusa ci auguriamo davvero che la massima del suo capolavoro citata all’inizio di questo articolo non si avveri; facciamo quindi gli auguri a Del Torchio e gli esprimiamo un desiderio: quello che 60 e passa anni di gloriosa storia di una compagnia che fu tra le migliori del mondo non si limiti a qualche passerella di uniformi di hostess o alla verniciatura di qualche fusoliera con i passati colori, ma questo processo possa e debba includere quelle tantissime risorse che, come il comandante eroe di Fiumicino, hanno da sempre costituito un fattore invidiatoci da tutti e che attualmente, nella loro stragrande maggioranza, sono in mobilità o alle dipendenze di vettori concorrenti. Il made in Italy è fatto soprattutto di persone.