Sempre più difficile comprendere come si potrà trovare una soluzione a quello che ormai è chiaro a tutti come il vero problema italiano: la questione fiscale. All’interno della maggioranza delle “grandi intese” e del governo si discute e si litiga anche. C’è il problema dell’Iva, con discussioni continue e faticosissime, per rinviarne l’aumento previsto per il prossimo 1 luglio. C’è da oggi in più quello che sostiene il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera: Equitalia, dall’anno 2000, deve riscuotere 545 miliardi di euro tra multe, imposte e contributi. Poi c’è in arrivo l’anagrafe tributaria con il controllo dei dati dei conti correnti, pur salvando, si dice, la privacy.



Il dibattito in corso oscilla sempre sui soliti punti: una pressione fiscale esasperata, al limite della tollerabilità, e nello stesso tempo l’esigenza di combattere l’evasione; la necessità di creare lavoro attraverso investimenti che sono letteralmente crollati dal 2008; la necessità di rilanciare i consumi di fronte a un credit crunch senza precedenti per imprese e famiglie. Trovare il bandolo della matassa in una simile concitazione e in una ridda di problemi è molto faticoso, quasi impervio. Persino dei grandi economisti si trovano in difficoltà di fronte ai tanti messaggi che arrivano dai “palazzi” e dai “portavoce dei palazzi”. Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, guarda con scetticismo a quello che sta avvenendo nel dibattito economico e continua a inquadrare, facendo studi accurati, la situazione reale del Paese.



Come siamo messi, professor Campiglio?

Siamo in depressione e non è facile comprendere quale sia la vera situazione reale. E sul futuro ci sono indubbiamente molte ombre. Mi sembra evidente che in questo momento fare pagare molte tasse, avere una simile pressione fiscale, sia un controsenso, che porta direttamente a una situazione ancora più grave. In venti anni il Paese ha sopportato e assorbito ben quattro grandi manovre. Ora non credo che sia più in grado di farlo.

Per quale ragione?

Considerando la prima grande manovra, quella del 1992 fatta da Giuliano Amato, il Paese, le famiglie di questo Paese hanno fronteggiato quattro grandi manovre con il “cuscinetto” che gli era garantito da una grande propensione al risparmio. Ora la propensione al risparmio degli italiani è letteralmente crollata e quel “cuscinetto” non esiste più, non c’è più. La capacità al risparmio degli italiani è arrivata ai minimi termini.



Questo che cosa provoca?

Detto in poche parole, ogni punto di tasse in più va a colpire direttamente i consumi che continuano ad abbassarsi, a crollare rilevamento dopo rilevamento. Tutto questo diventa una sorta di meccanismo infernale. In una situazione come questa le famiglie si sentono a rischio, hanno una percezione di incertezza e precarietà. Tutto questo non fa che deprimere i consumi come si può facilmente notare.

 

Ricreare una situazione normale significa rimettere in circolazione del denaro, per le famiglie e per le imprese.

Invece siamo davanti a un problema del credito che continua a punire sia le imprese che le famiglie e intanto sta di nuovo scendendo la produzione e crescendo il rapporto negativo tra debito e Pil. C’è il problema del lavoro e gli investimenti sono crollati dal 2008. Ora se si continua la cura dei medici medievali, con i “salassi”, si rischia veramente il collasso del sistema. Qui stanno fallendo imprese che avevano cento anni di vita.

 

Intanto si mette in moto il redditometro, si predispone il funzionamento dell’anagrafe dei conti correnti.

Ci manca solo un clima da “grande fratello” in una situazione come questa. Quello che mi viene spontaneo dire è che in questo momento, in un simile momento che è ormai di deflazione acclarata, si sta veramente scherzando con il fuoco.

 

(Gianluigi Da Rold)