Domani si riunisce il Consiglio europeo che affronterà i temi della crisi economica e in particolare quello dell’occupazione. Ieri Mario Draghi, intervenendo al congresso della Cdu a Berlino, ha ribadito che la politica monetaria della Bce non cambierà indirizzo. Abbiamo fatto il punto della situazione con il giornalista economico Oscar Giannino.
In questo Consiglio europeo verranno prese decisioni o al massimo ci saranno dichiarazioni d’intenti?
L’anticipo delle misure per il sostegno all’occupazione giovanile ci sarà e insieme non ci sarà. Per l’Italia, purtroppo, non copre minimamente l’ammontare della decontribuzione che sarebbe necessaria.
Anche il governo Letta si appresta proprio oggi a varare misure per favorire l’occupazione.
Il decreto del governo sarà pieno di buone intenzioni, con alcune misure apprezzabili, ma mancherà della forza necessaria per incidere sul vero problema che è la contribuzione molto alta del lavoro e quella generale.
Cosa occorrerebbe?
Oggi gli interventi sul lavoro che potrebbero migliorare le cose nel breve medio periodo e produrre qualche effetto stabile dovrebbero essere concentrati su due punti. Il primo è politicamente molto complicato e riguarda la moratoria generale della riforma Fornero in entrata che oggettivamente ha portato più disoccupazione. Ma i sindacati sono contrari a una flessibilizzazione generale.
Il secondo intervento necessario?
Dovrebbe essere una decontribuzione generale. In Italia il peso della contribuzione obbligatoria sul salario lordo è pari al 32,5%, in Germania è ferma al 19%. È questo il divario con cui ci dobbiamo confrontare.
Mancano però le risorse per farlo.
Mancano le risorse perché abbiamo esaurito la possibilità di nuove entrate fiscali. Manca l’intenzione di tagliare alcuni punti di spesa pubblica in maniera non recessiva. Si continua a parlare di manovre a saldo zero che però non cambiano questa realtà.
Cosa succederà in Europa nei prossimi mesi?
Il quadro europeo nei prossimi mesi, per effetto delle elezioni tedesche, non dovrebbe riservare grosse sorprese. A meno che…
A meno che?
Dobbiamo vedere cosa succede, giorno per giorno, sui mercati nei prossimi due mesi.
Perché?
Per vedere se prende vigore questo cambio di segno che c’è stato sui mercati per effetto di due congiunte novità di settimana scorsa.
Quali novità?
La prima è la conferma da parte della Fed di una diminuzione degli interventi monetari rispetto alla media degli 85 miliardi di dollari al mese, in maniera da farli cessare entro l’inizio del 2015.
La seconda?
Il primo allarme di crisi per il credito interno cinese. Sono sette mesi che si corregge al ribasso la crescita cinese. In più, in una notte l’interbancario su Shanghai è schizzato al 25% e la banca centrale cinese non ha mai spiegato cos’ha fatto per farlo ridiscendere al 5-6%. Ancora ieri ci sono stati due interventi pubblici della banca che tuttavia non hanno chiarito; l’impressione è che non stiano parlando in modo chiaro ai mercati.
Quali saranno le conseguenze?
Queste due cose hanno scosso dalle fondamenta la stagione iniziata undici mesi fa quando Draghi aveva annunciato che la Bce avrebbe fatto qualunque cosa per stabilizzare finanziariamente i paesi europei a rischio.
È finita la tregua?
Per undici mesi i mercati finanziari avevano seguito un andamento tendenzialmente al rialzo, costruito sulla certezza delle politiche monetarie molto lasche di America, Gran Bretagna a cui si era aggiunto a inizio anno anche il Giappone. Oggi la situazione è cambiata.
In che modo?
Se si consolida questo cambio di segno sui mercati finanziari, con l’uscita dall’obbligazionario in tutto il mondo, vuol dire che quest’estate l’Europa ballerà di nuovo. Se si faceva conto che dopo Cipro fino alle elezioni tedesche non sarebbe accaduto niente di particolarmente significativo, adesso occorrerà aspettare. Potrebbero verificarsi condizioni che costringeranno la Germania ad allentare la presa. Al momento non lo possiamo sapere perché c’è tre quarti del mondo che sta dicendo che la Fed sta sbagliando e sta implorando Obama di sostituire Bernanke.
Intervenendo al congresso della Cdu tedesca, Draghi ha ribadito che la politica monetaria della Bce non cambierà indirizzo. Come vanno interpretate le sue dichiarazioni?
Quando Draghi ha detto che l’Omt, lo scudo che non è ancora stato messo in funzione, è più che mai necessario lo diceva guardando con un occhio all’America e uno alla corte di Karlsruhe. Le sue parole possono essere interpretate così: guardate che siamo così lontani da una ripresa apprezzabile e che non cambieremo il segno accomodante della nostra politica economica. In più alla voce di Draghi si è aggiunta quella di un altro banchiere centrale, seppur non dell’area euro, che ha detto la stessa cosa.
Di chi si tratta?
Del governatore della Bank of England, Mervyn King, che ieri in un’audizione al Parlamento ha accusato il governo britannico di fare comunella con le banche e di aggirare il regolatore. Anche lui ha detto che siamo lontanissimi da poterci permettere cambi di segno nella politica monetaria e che la crescita è tutt’altro che soddisfacente.
Meglio i banchieri centrali dei politici?
È un paradosso: continuiamo a chiedere che sia la politica a prendere per le corna il toro della crisi, ma fino a oggi la politica non ha saputo dare risposte.
Cosa avrebbe dovuto fare la politica?
In questi giorni di ballo terrificante dei mercati e di ritorno degli spread non c’è stato un solo politico di livello europeo che abbia avuto la forza di rivolgere a Washington, alla Fed e a Obama, una qualunque parola sugli effetti che ricadono sull’Europa dal cambio di segno della politica monetaria americana. I banchieri centrali hanno dimostrato di saper dare una risposta. Questo ci deve far riflettere.