Guardando la situazione italiana, ormai le citazioni dei classici si possono sprecare. Carlo Marx iniziava “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” in questo modo: «Hegel osserva in un punto delle sue opere che tutti i grandi fatti della storia del mondo e i loro personaggi compaiono, per così dire, a due riprese. Egli ha dimenticato di aggiungere: la prima volta in tragedia, la seconda in farsa». Secondo un report di Mediobanca Securities, che sarebbe dovuto rimanere riservato e che come al solito è stato fatto circolare ad arte, «in Italia molto è cambiato, nulla è cambiato. Viviamo un Déjà vu del 1992”. Per l’esattezza, gli analisti di quella che è stata la banca d’affari migliore d’Europa e che ora è una banca quasi marginale, scrivono: «Sembra un revival del 1992, quando la crisi politica e macroeconomica costrinse l’Italia a svalutare la lira e uscire dallo Sme con 140 miliardi di euro tra austerità e cessioni. Il costo per il pagamento del debito era pari al 12% del Pil, rispetto all’attuale 6%, ma ora la situazione macroeconomica è peggiore e la svalutazione non è più un’opzione».



C’è un altro piccolo particolare che dimenticano questi “guru” di una “Mediobanca minore”. Dimenticano che in questi venti anni, proprio a partire dal 1992, quando Giuliano Amato si esibì nella sua manovra da “rapimento notturno sui conti correnti”, gli italiani avevano una propensione al risparmio incredibile che gli ha garantito un “cuscinetto” solido per affrontare ben quattro manovre mostruose. Adesso la propensione al risparmio degli italiani è franata ai minimi termini, il “cuscinetto” non c’è più. In venti anni di cosiddetta “seconda repubblica”, dove politicamente si è visto di tutto e di più, gli italiani sono stati al contempo salassati (la metafora in questo caso è dell’economista Paul Krugman) per ritrovarsi al punto di partenza e in condizioni peggiori.



Del resto non bisogna essere “maestri” in Economia e finanza oppure laureati alla Bocconi per comprendere che siamo in una delle recessioni o depressioni più dure della storia d’Italia. I dati sono la migliore spiegazione. Dall’ultimo aprile l’Italia è entrata in una fase ancora più acuta con 2,3 miliardi di nuovi crediti in sofferenza, con i consumi in calo del 4,4% anno su anno e con l’ulteriore inasprimento del credito (-1,1% anno su anno rispetto e -0,7% rispetto a marzo) tanto che gli analisti prevedono un più elevato onere sui conti pubblici. E non parliamo dell’aumento della disoccupazione per carità di patria. In compenso, dopo le grandi manovre contro lo spread del “gran ragionier” Mario Monti, adesso abbiamo risfondato quota 300 punti.



Stare a fare il riassunto delle colpe storiche di questa situazione è un esercizio che appare ormai grottesco. L’incapacità della classe dirigente italiana, nel suo complesso, di frenare le spinte destabilizzanti e di non saper operare delle riforme strutturali è ormai nota proprio dal 1992. In quell’anno ci fu una riunione riservata proprio a Mediobanca, dove si decise la totale chiusura a ogni possibile collaborazione con la Procura di Milano. Insieme alla perentoria denuncia dei metodi e dell’azione dei magistrati “che stavano destabilizzando il Paese e la sua economia”. Quella decisione non riuscì a reggere neppure una settimana. Figuriamoci se è possibile una resistenza oggi di fronte ai grandi interessi internazionali che si stanno muovendo all’ombra di questa crisi politica ed economica-finanziaria.

Oggi lo sfondo internazionale è sempre dettato dalla volontà degli americani di destabilizzare l’area dell’euro. Nel loro schematismo pragmatico, pur di mettere in difficoltà la Germania, gli americani non si fermano di fronte a nessuna realtà: sia quella greca, sia quella spagnola o anche quella italiana. In più, il groviglio politico e istituzionale in cui l’Italia è immersa costituisce una sorta di prateria per scorribande di ogni tipo. Si dice già adesso, secondo alcuni osservatori economici competenti, che alcuni Fondi sarebbero in grado di assicurarsi il controllo di una parte consistente dell’apparato produttivo italiano, cioè delle nostre imprese.

La risposta del governo e delle forze politiche è per ora solo declamatoria, basata su un sostanziale immobilismo, che nasconde con tutta probabilità la realtà dell’incertezza dei nuovi dati che arriveranno mese dopo mese sull’impoverimento degli italiani, su un nuovo calo dei consumi e su un sostanziale aumento della pressione fiscale. Si dice che di fronte a una simile situazione ci vorrebbe uno statista, una classe dirigente coraggiosa, alcune iniziative scioccanti rispetto all’andazzo imposto dall’ottusa burocrazia europea e dei patetici burosauri italiani.

Campa cavallo! Oltre all’immobilismo, si aggiunge da anni un’ondata “moralistica” che supera gli stessi aspetti farseschi. La sentenza contro Silvio Berlusconi è solo il frammento di una sequenza che si ripete da anni. Si raggiunge il comico puro con la ripetitiva dichiarazione che le “tutte le sentenze vanno rispettate” e neppure discusse, come avveniva nei paesi comunisti prima del 1989. A questo proposito, si consiglia ai moralisti di ogni parte di leggersi una frase di un grande statista, teorico dello Stato assoluto, il cardinale Richelieu: “Datemi sei righe scritte per mano del più onesto degli uomini, e ci troverò un motivo per farlo impiccare”. Anche in questo caso si potrebbero vedere le due fasi storiche della tragedia e della farsa.

In tutti i casi, per quanto ci interessa, il “matrimonio” perverso tra immobilismo e moralismo mette in crisi anche quel minino di coesione politica che si è riusciti a trovare in questi mesi. In questo modo, il futuro italiano sembra segnato: se non ci sarà (speriamolo) una esplosione sociale, l’Italia riceverà le tutele di varie troike finanziarie e di varie burocrazie sovranazionali. Saranno questi organismi a sistemare tutto, magari condannandoci a una “sobria” povertà, densa di significati “morali”. Forse gli italiani lo hanno già capito ed è per questa ragione che continua ad aumentare il partito dell’astensione e del non voto, il più grande partito italiano, dopo che è stata liquidata la democrazia dei partiti.