Sono due i dati di fatto da non dimenticare mai quando si cerca di analizzare la politica della Fed e le sue conseguenze attuali sull’economia e la finanza globale: primo, come dimostra il grafico a fondo pagina, i livelli attuali del mercato azionario sono unicamente in funzione del programma di Qe. Né i fondamentali, né le condizioni economiche giustificano minimamente prezzi degli assets ai livelli attuali (nonostante il recente ma ancora minimo ritracciamento). Quindi, ogni qual volta sul mercato si spargerà anche il minimo accenno a rallentamento o stop al programma di stimolo, si innescheranno sell-off. Secondo, come ripeto da settimane, se la Fed davvero taglierà il Qe non lo farà sulla base di considerazioni economiche. Il governo Usa è illiquido senza gli acquisti o le sottoscrizioni di bonds della Fed, quindi se si smette la parabola dei deficit federali sarà da incubo. Nessun mercato può restare sopravvalutato per sempre, però può restarlo fino a quando lo suggerisce la razionalità: e, paradossalmente, salire ancora. Per un semplice motivo: il governo Obama dipende mani e piedi dallo schema di creazione della moneta della Fed, è l’unico metodo di finanziamento dei deficit non potendo garantire una spesa di questo livello con l’indebitamento convenzionale o la tassazione.
Questo, però, porta con sé la più grande verità, quella che i grandi giornali nascondono, vendendo anzi la favoletta che i programmi di stimolo stanno riavviando la ripresa economica. Balle. La Fed stessa sa che il Qe non ha effetti sull’economia, serve solo a garantire il finanziamento agli eccessi politici del governo: e non essendo un ente indipendente difficilmente prenderà decisioni sgradite al padrone. Altrimenti, avrebbe rallentato il Qe prima, non ora quando farlo significa squassare i mercati globali, stante la bolla obbligazionaria. Certo, proseguire o addirittura aumentare la liquidità immessa dalla Fed potrebbe stabilizzare o addirittura far salire i mercati, il problema è che a un determinato punto dello schema, lo stesso crolla per due semplici fattori.
Primo, irrompe sulla scena macro un’alta inflazione che causa un ulteriore declino dell’economia e spinge gli investitori a non fidarsi più della Fed. Secondo, la Fed è costretta a fermarsi a un certo punto e il governo o non riesce a farsi carico dei suoi obblighi di spesa o deve tagliare drasticamente la spesa pubblica. In teoria, infatti, la Fed potrebbe continuare a stampare moneta e comprare Treasuries, securities legate a mutui, persino titoli spazzatura per 85 miliardi di dollari al mese, ma si sa che esiste un punto di non ritorno. Quando un uomo come l’amministratore delegato di Wall Fargo, John Stumpf, arriva ad ammettere che «i risparmiatori hanno pagato un prezzo altissimo a questa ripresa. L’aumento dei tassi è una cosa buona, abbiamo bisogno di tornare alla normalità», vuol dire che qualcosa di molto serio è all’orizzonte. Uno schianto o una fregatura.
Anche perché la settimana prima fu l’uomo più potente del mondo, l’ad di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, a dichiarare che «i tassi di interesse devono normalizzarsi e non è normale avere tassi al 2%». Capito? Oggi i tassi sono allo 0,25% ma per Goldman Sachs non è normale nemmeno averli al 2%. Hanno paura per gli investitori? Per i risparmiatori? No, perché se la bolla obbligazionaria continua a espandersi potrebbe implodere in maniera incontrollata e allora sarebbe il loro sistema, quello finanziario, ad andare in pezzi. Ecco il punto di non ritorno di cui vi parlavo prima.
Non lo dice Mauro Bottarelli che non conta nulla, lo ha ammesso due settimane fa – ignorato dalla grande stampa italiana – Andy Haldane, responsabile della Financial Stability della Bank of England. Ecco le sue parole, testuali: «Abbiamo intenzionalmente gonfiato la più grossa bolla obbligazionaria sovrana della storia. L’esplosione di questa è un rischio che ora si fa acuto, vediamo un’inversione disordinata dei rendimenti come il più grosso rischio per la stabilità finanziaria globale». Ora, a chi tocca il compito di evitare questa inversione disordinata? O, meglio, chi ha la forza per poterla evitare? La Fed, è il suo lavoro. Ed ecco la strategia attuale: la Fed continua a tenere i tassi a breve a quasi zero, continua a comprare bonds, ma comincia a parlare di rallentamento e fine del programma di stimolo. E i rendimenti cominciano a salire: per tutti, Treasuries, obbligazioni giapponesi, britanniche, addirittura svizzere, europee in genere.
Qualche esempio? Dall’annuncio della Fed il rendimento del Btp a 10 anni è salito di 34 punti base, dal 4,26% al 4,6%, mentre quello dei Bonos è balzato dal 4,52% della chiusura del 19 giugno (prima del discorso di Bernanke) al 4,97%. Su di 39 punti base anche il rendimento dei titoli portoghesi e di 27 quello dei titoli irlandesi: da mattanza, la traiettoria del decennale ristrutturato greco. Ma le vendite non hanno colpito solo i titoli della periferia dell’Eurozona, sono stati venduti anche i titoli dei paesi a tripla A e quelli francesi. I tassi sui titoli tedeschi a 10 anni sono saliti dall’1,55% all’1,73%, quelli dei titoli di Olanda e Austria di oltre 11 punti base.
Il problema è che se si vendono i titoli anche del Nord Europa, lo spread potrebbe diventare un segnalatore di rischio falsato: ovvero, potremmo restare intorno a quota 300 grazie alla contemporanea vendita di debito tedesco, olandese e francese, ma qualcuno sul mercato potrebbe prezzare un net spread su Italia e Spagna, ovvero un spread al netto del dato di offsetting automatico e involontario che giunge dalle vendite su altri Paesi, tra cui il benchmark Germania. A quel punto, le aste diventeranno terreno di battaglia, al netto dello spread ufficiale.
Insomma, quello che sta compiendo Bernanke è una sorta di esplosione controllata, come quando si abbattono gli ecomostri. Controllata sì, ma con troppe variabili che possono mandarla fuori controllo. Il decennale statunitense è al 2,60% di rendimento, il 2 maggio era all’1,66% e lo scorso agosto era all’1,3%. Il trentennale è quasi al 4,20% dal 3,59% di inizio maggio, in compenso il Refinancing Index è crollato del 40%. Cosa vuol dire? Le banche hanno drenato miliardi di dollari in commissioni fuori dal sistema, rifinanziando questa bolla, ma ora il gioco è finito, si rischia di saltare in aria con l’ecomostro. Lo conferma il Purchase Index, calato del 3% in una settimana, segno che tassi più alti andranno a impattare sugli acquisti di case. Questo grafico lo conferma, già oggi: per l’aumento dei tassi, il mercato immobiliare Usa ha già perso il 16% di valore in meno di due mesi! Eppure martedì pomeriggio il Dow Jones ha aperto in rialzo di 100 punti per l’ottimo risultato dell’indice Case-Shiller proprio sul mercato immobiliare!
C’è poi l’enorme azzardo a cui ho dedicato più di un articolo, ovvero il segmento di mercato delle obbligazioni ad alto rendimento – di fatto, spazzatura – tramutato in un supermarket di massa della liquidità della Fed che ha compresso tutti i tassi, limitando i profitti di chi investe. Il quale, da buon beone, pur di fare qualche dollaro, ha comprato anche obbligazioni di Saturno o di Paperopoli. Lo yield medio di questo comparto ad alto rischio in questi anni è sceso del 20%, raggiungendo il valore insano del 5,24%: insomma, spazzatura che paga, per essere acquistata, come decennali italiani non molto tempo fa. Il 9 maggio, poi, la prima inversione, con il tasso medio in salita al 6,66% – sembra un segnale messianico – e gli investitori che cominciavano a svegliarsi, tardi, dalla sbornia collettiva e cominciavano timidamente a chiedere un premio di rischio più alto.
Purtroppo, però, molte aziende del settore sono ancora strapiene di quella immondizia presa nei giorni delle richieste a pioggia e ora rischiano di non riuscire a disfarsene: quindi, prepariamoci a cartolarizzazioni di massa dove impacchettare immondizia insieme a qualche assets decente o al default di qualcuno di quegli istituti. Il fatto è che stanno salendo, parecchio, anche i rendimenti dei bond investment grade: ovvero, i gestori di fondi non si limitano più a comprare cds per fare hedging sulle obbligazioni in portafoglio, le vendono per la paura come dimostra il grafico a fondo pagina. E chi dovrà tamponare, nel caso? La Fed. La quale con le parole di Bernanke la scorsa settimana ha punto la bolla per cercare di controllarne la fuoriuscita di aria senza che questa impazzisse, ma è un lavoro da mago: la Fed sa che deve sgonfiarla o salta tutto, ma non può e non vuole farla esplodere. Deve farla sgonfiare tipo sufflè.
E cosa di meglio che l’opacità delle parole di Bernanke, aperte a più interpretazioni? Non ci credete? «Non sono affatto favorevole a passare dal tutto al niente in una notte», ha dichiarato lunedì il presidente della Fed di Dallas, Richard Fisher, che dal prossimo anno sarà anche membro del Fomc. Gli ha fatto eco il numero uno della Fed di Minneapolis, Narayana Kocherlakota, a detta del quale «i mercati sbagliano a vedere una Fed diventata di colpo falco per necessità di contrarre la politica monetaria. Quest’ultima resterà accomodante per un periodo considerevole di tempo anche dopo la fine del Qe». Et voilà, torna il sorriso sui mercati. Gli investitori, infatti, reagiranno sul breve in entrambe le direzioni di mercato, spedendo i corsi verso violenti su e giù che evitino però una traiettoria unicamente ribassista.
Lo ha confermato John Hilsenrath venerdì scorso al Wall Street Journal: «I mercati potrebbero fraintendere o leggere in maniera distorta i messaggi della Fed». Vero, ma è ciò che la Fed vuole, ciò di cui ha bisogno per sgonfiare lentamente la bolla e non farla esplodere di botto. Occorre evitare ciò che è stato prefigurato da Haldane della Bank of England, ovvero l’inversione disordinata dei rendimenti. E lo si può fare solo mandando segnali contradditori ai mercati, alternare incertezza a false speranze – vi siete mai chiesti il perché di certi dati macro Usa, completamente sconnessi da un mese con l’altro manco fosse scoppiata una guerra? – e prolungare questo processo il più a lungo possibile, dando ai grandi players il tempo di riposizionarsi: magari facendoci anche soldi (guardate cosa sta comprando Goldman, infatti, Treasuries come se non ci fosse un domani), magari perdendoli, magari fallendo ed essendo salvati da mamma Fed, ma l’importante è dare il tempo alla bolla di sgonfiarsi a poco a poco.
Se ora vi sentite come Danny Glover in “Arma letale 2”, quando era seduto sulla tazza di un wc cui era collegata una bomba, vuol dire che avete ancora sale in zucca. È l’esatta situazione in cui siamo.
(2- fine)