L’unica sostanziale novità emersa dal vertice europeo riguarda gli stanziamenti per l’occupazione. E’ stato raggiunto un accordo di massima che prevede la distribuzione di 8-9 miliardi per l’impiego, da spartirsi tra 13 paesi (tra cui l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia). Sei miliardi saranno anticipati al biennio 2014-2015. L’intesa è stata siglata dopo che David Cameron ha ottenuto quello che voleva: l’Europa non taglierà in bilancio gli “sconti” sui contribuiti della Gran Bretagna. Da segnalare che il premier inglese non si è fatto remore, come si suol dire, a sbattere i pugni sul tavolo. Se non avesse ottenuto soddisfazione, avrebbe posto il veto all’accordo di massima. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Giulio Sapelli, professore di Storia economica allUniversità degli Studi di Milano.



Come giudica l’esito del Consiglio europeo?

Si tratta di un accordo politico del livello più basso, la cui utilità effettiva, in termini economici, sarà pari a zero. Insomma, sono soldi sprecati. Anche laddove assumessimo la legittimità di dover restare entro il tetto del 3% nel rapporto decifit/Pil, infatti, sarebbe pur sempre necessario agire in misura massiva. Nove miliardi non sono niente. D’altro canto, non è possibile che si trovino risorse a non finire per salvare le banche, ma non per rilanciare l’economia e l’occupazione.



Come crede, in ogni caso, che saranno usati questi soldi?

Questo non è chiaro. Si potrebbe auspicare che, pur essendo le risorse particolarmente limitate, venissero quantomeno sfruttate per abbassare la tassazione sul lavoro, o per creare imprese autogestite in grado di offrire lavoro. Di sicuro, un intervento del genere sarebbe molto più utile di una distribuzione a pioggia. Insomma, sarebbe necessario avere un po’ di fantasia.

E questo è verosimile?

No, considerando la mentalità burocratica e la rigidità dei vincoli europei.

Quindi?

Guardi, per ripartire non c’è alternativa che approfittare di questa crisi sociale enorme per prendere il toro per le corna. Ovvero, per ridiscutere il limite del 3%, ma anche l’obbligo di rientro nel 60% del rapporto debito/Pil; serve, altresì, superare la visione deflazionistica tedesca, e riprendere una discussione a tutto campo rispetto alla ricostruzione dell’economia europea. C’è di buono che, a livello generale, sta montando la consapevolezza di agire in questa direzione. E che, seppur a piccoli passi, ci si sta muovendo di conseguenza.



Le risorse liberate dall’allentamento dei vincoli come dovrebbero essere utilizzate?

Oltre a detassare le imprese e il lavoro (prestando attenzione a non danneggiare i contribuiti pensionistici), ipotizzando un’aliquota unica al 30%, si potrebbero incentivare la nascita di spin-off e la creazione di nuove imprese che siano, magari, inizialmente possedute dallo Stato; oppure, di cooperative volte, fondamentalmente, a offrire lavoro. Considerando la crisi dei consumi e il surplus commerciale, non si può inoltre prescindere dall’aumento della massa monetaria, e dalla rimessa in moto della domanda aggregata; fatto questo, tornerà la propensione privata agli investimenti.

 

Durante il Consiglio, la Gran Bretagna è riuscita a ottenere ciò che voleva.

Perché ha una classe politica all’altezza. Se Letta e Alfano riuscissero a mettersi d’accordo, anche loro lo sarebbero. A differenza di Monti, infatti, che si portava dietro l’inginocchiatoio, quantomeno parlano in piedi. Dovrebbero quindi fare asse con la Francia, contro la Germania, e pretendere l’allentamento dei suddetti vincoli.

 

Nel frattempo, i ministri dell’Economia europei si sono accordati su un nuovo step dell’unione bancaria: gli istituti in procinto di fallire saranno salvati dagli azionisti e da parte dei correntisti.

È la prova che i governanti europei o non capiscono nulla della crisi finanziaria o sono tutti eufemisticamente influenzati dalle banche.

 

(Paolo Nessi)