Nella giornata di domenica, in tutte le chiese di rito romano, è stato proposto il brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Questo brano di Vangelo è quello che dovrebbe stare a cuore a tutti i cristiani che si interessano di economia, perché è quello che definisce la nascita di una esigenza, a cui l’economia tenta di dare una risposta. L’economia, infatti, in senso moderno, presuppone la presenza di una comunità, cioè di un gruppo di persone che sono unite da alcuni bisogni e da un ideale. Prima di ogni cosa, quindi, c’è una comunità che ha un ideale di convivenza. Per questo, la stessa comunità adotta delle istituzioni, delle prassi, delle norme, che, ponendo alcuni limiti alla libertà personale, contribuiscono a difendere e promuovere questo ideale di convivenza.
E questo rispetto di una norma è proprio quello che chiede Gesù: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta”. E di fonte alla richiesta dei discepoli di allontanare la folla, perché vada a sfamarsi, Gesù li invita a partire dal “dono”: “Date voi stessi da mangiare”. Ma i discepoli, chiusi nella loro mentalità modernista (già allora!), nel loro cieco materialismo rispondono: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”, cioè di nuovo ripartono da ciò che hanno e da quello che si potrebbe comprare. Ma Gesù li fa sedere, dopo di ché avviene la distribuzione sovrabbondante. L’economia, cioè la cura della corretta distribuzione dei beni che servono a tutti, viene sempre dopo un dato: la presenza di una comunità e l’identificazione di un bene comune. Ma ciò che è prima dell’economia, è dato, è un dono non quantificabile con la semplice somma dei presenti.
Lo stesso viene indicato nella preghiera del Padre Nostro: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Gesù stesso afferma che il pane che dobbiamo chiedere è nostro prima di averlo. Qui si afferma quindi la proprietà del pane, prima della richiesta dello stesso. Il diritto precede la proprietà: come è logico che sia, in questo caso: è logico che si abbia il diritto di avere ciò che deve mantenerci in vita (sia in senso materiale, sia in senso spirituale). In senso spirituale, abbiamo diritto alla vita eterna dal momento in cui ciascuno di noi è stato creato, e ne abbiamo preso possesso nel paradiso con Adamo ed Eva; tale diritto è stato violato a seguito del peccato originale, insieme alla perdita della vita eterna. Ora il diritto viene ripristinato da Cristo stesso, invitandoci a chiedere quel pane che è nostro per diritto. Ma questo diritto non è un diritto solitario, non diciamo “dammi il mio pane”, nemmeno quando siamo da soli. Il pane di cui qui abbiamo bisogno rappresenta i nostri bisogni come comunità. Da questo nasce l’esigenza della politica e dell’economia: da questo nasce la Dottrina sociale della Chiesa.
Senza nulla conoscere del Concilio Vaticano II e delle encicliche sociali (a partire dalla Rerum Novarum in poi), questa è la stessa impostazione della prima comunità cristiana, quando si decide di scegliere alcuni per servire alle mense: “Non ci conviene lasciar la parola di Dio per servire alle mense. Perciò, fratelli, sceglietevi di mezzo a voi sette uomini di buona riputazione…” (At. 6,17). E lo stesso viene fatto quando si decide di mettere in comune tutti i beni, per sostenere i bisognosi. Ci sono decisioni da prendere, c’è una economia da tener in equilibrio. Ma prima di tutto c’è una comunità e c’è un ideale perseguito e riconosciuto.
Sol da questo può nascere, ragionevolmente, una moneta. E con l’euro, cosa abbiamo fatto? C’era una comunità identificabile? Sì. C’era un ideale conosciuto e riconosciuto? Sì, anche se non troppo chiaramente riconosciuto e affermato. E l’affermazione di questo ideale comportava la cancellazione di identità nazionali e ideali pregressi? No, questo no. E allora perché sono state cancellate le monete nazionali? E perché la gestione dell’euro è stata affidata a una banca centrale irresponsabile per definizione (la Bce non è responsabile delle banche che comunque rappresenta, ma lo sono gli stati)? Perché affidata a una banca centrale inevitabilmente soggetta alle pressioni e alle influenze di un sistema bancario determinato solo a fare profitti?
Il risultato di questa situazione è sotto gli occhi di tutti ed è stato certificato dalla relazione annuale nell’Assemblea dei Partecipanti di Banca d’Italia. Leggiamo dalle Considerazioni finali del Governatore Ignazio Visco: “Il Prodotto interno lordo del 2012 è stato inferiore del 7% a quello del 2007, il reddito disponibile delle famiglie di oltre il 9%, la produzione industriale di un quarto. Le ore lavorate sono state il 5,5% in meno, la riduzione del numero di persone occupate superiore al mezzo milione. Il tasso di disoccupazione, pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all’11,5% lo scorso marzo, si è avvicinato al 40% tra i più giovani, ha superato questa percentuale per quelli residenti nel Mezzogiorno”.
Una catastrofe, poiché la moneta, sommo bene sociale, è andata a servire interessi privati. Occorre invece, come detto da Benedetto XVI, ribadire che “lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità” (Caritas in Veritate, n.34).
Nonostante il procedere doloroso di questa crisi devastante, tutto può ripartire se al fondamento dell’agire politico ed economico viene rimesso questo principio di gratuità, perché la realtà tutta, prima di essere da noi plasmata per il bene comune, è prima di tutto data.
In quest’ottica, una moneta che rappresenti prima di tutto i valori di questa realtà, non può essere a debito, ma nasce come un valore socialmente riconosciuto. Un bene per tutti.