A furia di rinvii sulle tasse da parte del Governo, il conto finale rischia di essere davvero salato. A ottobre (termine a cui è stato spostato l’aumento dell’Iva), potrebbero mancare alle casse dello Stato 11 miliardi di euro, ovvero l’ammontare della cancellazione dell’Imu (4 miliardi), della Tares (1 miliardo), della rinuncia all’aumento dei ticket sanitari (2 miliardi) e della rinuncia all’aumento del’Iva (4 miliardi). Una nuova manovra finanziaria con annesse nuove tasse sarebbe esiziale per il Paese. Come scongiurare, quindi, l’ipotesi? Lo abbiamo chiesto a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze.



Professore, a ottobre potrebbero mancare 11 miliardi di euro nelle casse dello Stato.

Anzitutto, ritengo scorretto dare per scontato che si tratti di 11 miliardi. La rinuncia alla Tares, per esempio, non l’ha chiesta nessuno. Gli enti locali si troverebbero senza risorse, e non potrebbero fare altro che portare le addizionali locali al massimo. Oltretutto, è bene che il costo del servizio sia coperto da questo tributo, perché non è serio che un comune che gestisce male i rifiuti con clientelismi, in certi casi addirittura attraverso la criminalità organizzata, o perché non vuole utilizzare i termovalorizzatori, non si assuma le proprie responsabilità. Non si capisce neanche la necessità di scongiurare l’aumento dei ticket.



No?

Tanto per cominciare, i ticket sono un modo per frenare una spesa che spesso favorisce gli sprechi. Oltretutto, si tratterebbe di un aumento rispetto alla diminuzione che fece il governo Prodi cinque anni fa, trovandosi in difficoltà a ridosso delle elezioni. Certo, si deve prestare attenzione affinché i non abbienti continuino ad avere l’esonero. Ma chi può è giusto che contribuisca a moderare la spesa con i ticket. Inoltre, non possiamo pensare di disperdere le poche risorse a disposizione per il welfare in mille rivoli. Sarebbe molto meglio destinarle a politiche serie per il lavoro, attraverso sgravi che creino occupazione duratura, o lavori pubblici che la creino mediante le infrastrutture. In sostanza, è bene esclusivamente non aumentare l’Iva e rimuovere l’imposta sulla prima casa.



Resta il fatto che si tratta di miliardi di euro. Dove si trovano le risorse?

Non dimentichiamo che sia Tremonti che Monti non avevano stabilito l’aumento dell’Iva a prescindere, ma come clausola di salvaguardia nel caso in cui la spending review degli esoneri fiscali, che equivalgono a 250 miliardi di euro, fosse fallita. È essenziale inoltre, in prospettiva, introdurre il criterio dei costi standard per limare ulteriormente le spese. Suggerisco che i tagli non si concentrino esclusivamente su un settore, per impedire traumi, ma di sfoltire gradualmente fino a giungere a un livello di normalità. Nell’ambito degli sfoltimenti, inoltre, occorre varare un piano di vendita del patrimonio pubblico.

 

Cosa intende?

Le Ferrovie dello Stato, tanto per fare un esempio, ricevono un contributo di 800 milioni di euro per i propri “servizi sociali”. Dal momento che l’azienda vale 18 miliardi e che guadagna parecchio,potrebbe facilmente essere quotata in Borsa. Altresì, potrebbe vendere metà del proprio patrimonio, riducendo così il debito ferroviario che, essendo garantito dallo Stato, va a incidere sul debito pubblico. La riduzione degli interessi passivi consentirebbe di migliorare il bilancio e di fare a meno dei contribuiti pubblici. La stessa cosa potrebbe e dovrebbe fare qualunque altra azienda partecipata dallo Stato o dagli enti locali; basti pensare ai termovalorizzatori o agli acquedotti.

 

(Paolo Nessi)