Il mondo economico e sociale, ossia soprattutto gli osservatori specializzati e i policymaker, sembrano piombati nell’incertezza. Le aspettative crescono, la crisi si approfondisce e si è diffusa una drammatica esigenza di fare subito e rapidamente cose che si è aspettato anni a iniziare. Certo, tutto è sovradeterminato dal fatto che si è consapevoli che ormai la cura dell’austerità è stata peggiore del male, ma non si ha il coraggio di dirlo. Paradossalmente solo i tedeschi lo fanno, o meglio l’ala più lungimirante della socialdemocrazia, come il Presidente del Baden Wurttemberg, Peter Friedrich, che ha non solo criticato Angela Merkel ma ha ribadito ai quattro venti che il Bundesrat non deve approvare il patto di stabilità, il famigerato Fiscal compact. Fatto che è sempre stato tenuto nascosto dai media tedeschi e internazionali, ma che forse avrebbe potuto insegnare qualcosa a tutti.



Rimane il problema che ora tutti vogliono fare in fretta. Ci si lamenta che le riforme di Shinzo Abe in Giappone non hanno avuto effetto. Questo è sicuramente il sintomo di una sorta di regressione cognitiva che porta a confondere i tempi delle trasformazioni sociali indotte dalla politica economica con la velocità dell’on-line, dimenticando che il mondo è fatto di uomini in carne e ossa e che per ricostruire lo stock di capitali distrutti ci vorranno anni. Sarebbe già importante fermare la disoccupazione e la speculazione finanziaria che opera attraverso i derivati.



Anche le speranze continuamente accese da Draghi, medico continuamente minacciato da riluttanti pazienti tedeschi, si vorrebbero sempre più incisive di quello che possono essere. C’è scetticismo, per esempio, per l’annuncio da parte della Bce di un taglio di un quarto di punto dei tassi di interesse. Io dico meglio di niente, e andrei cauto anche a smorzare gli entusiasmi e le aspettative per il prossimo Consiglio europeo di giugno. Come dicevo prima, il vento sta cambiando e le pressioni che salgono dai singoli stati debitori e più deboli sul fronte del commercio estero sono sempre più forti: sono quelli della disperazione.



Insomma, credo che occorra distinguere tra depressione e disperazione. Parlo della depressione psichica, naturalmente, e della disperazione degli umani. La depressione è una malattia dello spirito, difficilmente curabile e che corrode l’anima e il corpo e può portare alla morte. La disperazione, invece, è sinonimo di vita: se ci si dispera ci si industria, si lotta, si desidera un cambiamento. Ma nello stesso tempo bisogna sempre ricordare quello che dice il rivoluzionario spagnolo esiliato in Francia a Yves Montand che rappresenta ne La guerre est finie un impaziente Jorge Semprùn che si avvia a entrare clandestinamente in Spagna per proclamare uno sciopero generale che non ci sarà: “La pazienza è la virtù dei rivoluzionari”.

Se vogliamo cambiare la politica economica europea dobbiamo sempre ricordarci questo folgorante pensiero.