Beckett non voleva assolutamente parlare di attesa in En attendant Godot. L’attesa non era il fulcro ma lo scenario in cui Vladimir ed Estragon, i due barboni, giacevano. La corretta chiave di lettura, sin dalla sua prima nel 1953, non è il mancato arrivo di Godot, ma la stasi dei due che non andavano incontro al loro destino, rimanendo invece sul terreno di Pozzo. Quando il ragazzo messaggero di Godot arriva a dirgli che costui arriverà, ma non quel giorno, i due fanno per spostarsi, si esortano ad andare. Compare però un cartello che, mentre gli attori rimangono immobili, dice al pubblico “They do not move”.
Mario Draghi non ha mosso mano sui tassi di interesse, lasciando quello di rifinanziamento allo 0,50% e quello di deposito a zero, confermando però di essere pronto ad abbassarlo sotto lo zero (le banche private dovrebbero pagare un tasso per depositare i propri soldi alla Bce). Lasciamo stare il resto del discorso sui rischi dell’inflazione, il taglio delle stime sulla crescita del Pil della zona euro del 2013 sino al -0,6%, l’ottimismo per il 2014 con una crescita non più dell’1%, ma addirittura dell’1,1%: anche Becket sapeva mischiare tragedia con risate e Draghi non è stato da meno.
Non si sa bene cosa aspettassero invece i mercati azionari dalle dichiarazioni di Draghi. Alcuni dicono che la loro gioia sarebbe stata un acquisto da parte della Bce di titoli garantiti da prestiti alle Piccole e medie imprese, in modo da incentivare i prestiti (ricordiamo 44 miliardi in meno alle aziende italiane nell’ultimo anno). Altri un bel piano massiccio di acquisto di bond di paesi periferici o quel catartico tasso di interesse negativo. De facto, ciò che serviva era una scusa perché il rally dei listini proseguisse per la sua strada, corresse veloce lontano dall’economia reale fatta di Pil in contrazione, disoccupazione e da quella percezione brutta dell’economia che si avverte solo e soltanto parlando con i tassisti.
Draghi non ha fatto nessun ulteriore regalo a quel mercato più dipendente che abulico e che ha continuato il movimento della mattina: verso il basso, verso un livello più basso che non annienti la salita degli ultimi 2 mesi ma che dia una risposta alla domanda: “Perché sto mercato continua a salire se l’economia va da schifo?”.
Noi una risposta l’abbiamo data da tempo: “Solo e soltanto un allagamento di liquidità”. Come da tempo abbiamo sostenuto che i mercati azionari avessero dovuto prendere un po’ di respiro. Il capitombolo di giovedì non è stato fragoroso in stile 2008, si è fermato a un 3% tra massimi e minimi della giornata, ma potente. Il future sul FtseMib è stato sospeso ben due volte per uno scostamento più ampio di quello consentito da Borsa Italiana, una volta al ribasso e una volta al rialzo, mostrando disordine e fragilità dei mercati a questi livelli.
Il FtseMib ha ritracciato di un buon 6% negli ultimi 10 giorni, quanto basta per farci ricordare che i mercati azionari non vanno in un’unica direzione, bensì possono anche scendere, ma non per farci pensare che questa sia un’occasione per allocare le nostre risorse convinti che a questi prezzi, le azioni siano regalate. Contrariamente a ciò che dicono molti, non è vero che al giorno d’oggi nessuno regala più niente.
Per esempio, la salita incontrollata sino a 17500 era un regalo per chi volesse scommettere al ribasso. Allo stesso tempo per vedere un regalo potremmo aspettare un susseguirsi di giornate negative che abbattano il mercato di un 10% ancora e costituire un portafoglio azionario con delle valutazioni più generose, per noi.
Probabilmente Draghi farà, prima o poi, forse a luglio, un regalo al mercato. Più per riparare che per celebrare, potrebbe forse stabilire quel tasso negativo di cui si parla. Forse implementerà un piano di riacquisto di bond, ma non credo che il mercato azionario potrà festeggiare più di tanto, perché non c’è niente di buono nel perpetrare una cura che allevia i sintomi ma non elimina la malattia.
Sarebbe stato molto bello l’acquisto di titoli garantiti da prestiti alle Pmi, primo sguardo della Bce rivolto all’economia reale, ma in quel gioco di ruoli tra Draghi e Angela Merkel, l’economia ha avuto la peggio.