L’industria del trasporto aereo è anomala per molte ragioni: da sempre sottoposta alla globalizzazione e alla standardizzazione, il suo business è esposto più di qualsiasi altro al sentiment delle geo-politiche, delle alleanze, delle fluttuazioni energetiche e dei cambi. Spesso è perfino coniugabile a gestioni finanziarie border-line a causa dell’atipico cash-flow. Il solo modo per “navigare” nel mondo delle linee aeree è quello di avere la giusta strumentazione e dotazione, ma soprattutto la necessaria specifica preparazione manageriale.
Da “noi” funziona diversamente: come se fosse veramente Banderas in un vecchio casolare, a impastare e imbustare biscotti e merendine per poi affidarle alla grande distribuzione per la vendita, c’è chi vuol far credere che Alitalia possa essere tranquillamente gestita con un nuovo spot.
Uno spot comunque poco allegro se, dopo quattro anni di proclami, polemiche e rilanci, il carosello finalmente apre il sipario su una situazione che dalla promessa non mantenuta del 2009 alle premesse di una bancarotta all’inizio del 2013, costate il posto a Ragnetti, ha determinato il completo fallimento del piano Fenice e – almeno questo – il ravveduto ripensamento basato sulle “lessons learned”, come testualmente recita il piano strategico presentato il 3 luglio scorso in conferenza stampa.
Peccato che dalla lezione ricevuta Cai pare non abbia saputo o potuto trarne insegnamenti efficaci e sufficientemente risolutivi, nonostante gli sforzi espressi dal nuovo Amministratore delegato Del Torchio (e dai suoi advisors) all’interno di una frammentaria quanto banalmente aleatoria illustrazione delle strategie complessive.
Tutto sembra ruotare su due assunti. Il primo è quello di rilanciare l’immagine e la “nuova missione” (che appare assolutamente identica alle precedenti in quanto a intenzioni) attraverso la parossistica esternazione di un motto riportato ovunque, sulle fusoliere, sui menù, sui tesserini del personale e che rivendica testualmente in italiano e in inglese “l’orgoglio di mostrare il meglio dell’Italia”.
Il secondo assunto è voler riparametrare l’esercizio del network attraverso lapalissiane ipotesi di apertura di linee verso i mercati meglio dimensionati, soprattutto sul lungo raggio, strizzando però adesso l’occhio al treno e all’inter-modularità, vista la mal parata sulla Roma-Milano e non solo su quella, a favore del corto raggio in evidente sofferenza per il traffico “point-to point” e “bypass”. Dunque si cura il malato con l’acqua fresca.
Anche se in realtà il biscottino caldo arriverà grazie alla più consueta e ovvia attitudine, questa sì orgogliosamente italiana, che sfornerà un prestito soci convertibile entro dicembre 2013 e soprattutto il “favorevole impatto” determinato dell’estensione degli istituti di Cigs e Solidarietà tra i dipendenti. Siamo alle solite? Non sono ancora bastati i miliardi con cui la mano pubblica e il pubblico pagante hanno foraggiato l’operazione Fenice e l’intera condotta di Cai?
Sarebbe stata invece auspicabile la riconversione dell’operativo basandolo sul riposizionamento della flotta di medio raggio per avvantaggiare una rete intercontinentale fortemente implementata. Una determinazione che sarebbe apparsa veramente innovativa sul piano strategico e dell’immagine.
Risulta infatti indispensabile l’acquisizione di almeno altre 20 macchine di tipo wide body (fusoliera larga), evidentemente frutto di una oculata operazione di leasing e/o di alleanze con quei vettori che oggi possono integrarsi e allearsi (mentre è in atto quella lotta tra le majors per la conquista definitiva dei grandi mercati emergenti, da tempo preannunciata) e che altrimenti domani si approprieranno degli spazi e dei mercati non presidiati da Alitalia.
Così come la rivisitazione delle tariffe e dei servizi, e soprattutto dei livelli di competenza e di rendimento effettivo del personale (sempre più attinto da forme di precariato, atipiche e part-time, e dunque spesso privo di sufficiente know-how pur se impiegato in posizioni nevralgiche: dal front-line che si interfaccia con la clientela alla manutenzione, dai magazzini ai servizi di rampa e di supporto operativo) nella paradossale contemporanea situazione in cui centinaia di professionisti sono ancora mantenuti in Cigs e mobilità: risorse preziose e insostituibili, già fortemente motivate e professionalizzate, oggi segregate in una dimensione assurda, lontana dal mondo produttivo.
Niente di tutto questo, invece e, come nel mulino di Banderas, si sfornano solo strategicissimi tarallucci e batticuori. Ma niente abbracci per Colaninno & co.