In Italia crescono i poveri. In base all’ultimo rapporto dell’Istat sono 9 milioni e 500mila le persone (il 15,8% della popolazione) che vivono in condizioni di povertà relativa; di questi, 4 milioni e 800mila sono i poveri assoluti. A soffrire di più in questo momento sono le famiglie, in particolare quelle numerose. A Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, abbiamo chiesto di commentare questi dati.



Il quadro che emerge è ancora una volta nerissimo. Che riflessioni ha fatto, professore?

La cosa che più mi ha colpito è che la soglia di povertà relativa, in termini nominali, è diminuita del 2%. Ragionevolmente ci si poteva aspettare che, essendo più bassa l’asticella, a superarla sarebbero stati in molti. Si poteva immaginare che la povertà relativa sarebbe rimasta più o meno uguale.



Invece? 

La povertà relativa è aumentata, passando dall’11,1% al 12,7%. È qualcosa di nuovo, di unico. Non vorrei sbagliare, ma probabilmente è la prima volta che si verifica una cosa del genere.

Cosa significa? 

Che l’aumento dell’incidenza della povertà si accompagna a una riduzione del reddito imponibile procapite. È un segnale da cogliere, molto preoccupante per la situazione del Paese.

C’era da aspettarsi dati di questo genere o è andata peggio delle previsioni? 

Stando alle previsioni di un anno e mezzo fa, l’ultimo trimestre del 2012 avrebbe dovuto registrare un miglioramento. Che purtroppo non c’è stato.



La stessa cosa si dice adesso del 2013. 

Le previsioni, nel complesso, dicono che anche il 2013 sarà un anno di recessione. Ma il fatto nuovo è che con la diminuzione del reddito stiamo diventando un Paese, tra virgolette, più piccolo. Oggi il Pil procapite è probabilmente a livello della metà degli anni 90.

Non c’erano già altri segnali che andavano in questa direzione? 

Già nel 2011 era emerso chiaramente che l’Italia, rispetto agli altri paesi europei si caratterizzava per uno stacco netto tra il 2010 e la fine del 2011 per tutta una serie di privazioni materiali: arretrati da pagare, impossibilità ad andare in vacanza, impossibilità a riscaldare adeguatamente la propria abitazione, alimentazione qualitativamente non adeguata, ecc.

Non abbiamo ancora toccato il fondo? 

Potremmo toccare il fondo quest’anno se non ripartissero le esportazioni. C’è da incrociare le dita perché è ancora tutto scivoloso. È una crisi molto lunga, aggiungo, troppo lunga. Che sta sprecando una o due generazioni di giovani.

È possibile che nel primo semestre di quest’anno le cose siano peggiorate e anche di molto? 

Peggiorate lo sono, purtroppo. Chi segnalava qualche cenno di ripresa verso la fine dell’anno, sta dicendo che non ci sarà ripresa nemmeno alla fine del 2013 e che tutto è spostato al 2014. Solo che avendo alle spalle quattro anni di crisi su sei, la situazione diventa molto pesante. E i dati dell’Istat lo confermano.

 

A pagare di più in questo momento sono le famiglie.

Dal rapporto viene fuori una cosa molto importante: il tipo di famiglia che meglio resiste alla crisi è quella di una coppia in cui entrambi i coniugi lavorano. Anche se nel rapporto non se ne parla, posso dirle che una coppia che vuole garantirsi dal rischio di affrontare difficoltà economiche deve essere nella condizione in cui tutti e due lavorino e non abbiano figli. Questa, si fa per dire, è la condizione ottimale.

 

Al contrario, le famiglie più numerose sono quelle più a rischio povertà.

E’ esattamente quello che dimostrano questi dati. Che la povertà, relativa o assoluta, aumenti all’aumentare dei numeri dei figli, in Italia ahimè è una regolarità implacabile.

 

Cosa si può fare di fronte a una situazione del genere? 

Se c’è una cosa di cui oggi si sente la mancanza nel Paese è il lavoro, un’occupazione stabile, magari flessibile, ma stabile, un reddito stabile. Anche la situazione ideale di cui parlavo oggi è messa continuamente a rischio.

 

Si spieghi meglio. 

Se la condizione è che entrambi i componenti della coppia lavorano e magari, volendosi rovinare, hanno un figlio, se anche uno solo perde il posto la situazione diventa inevitabilmente difficile. Se poi succede che c’è un solo percettore di reddito principale, a quel punto si arriva ai casi che rimbalzano sui media. In più…

 

In più? 

Anche se il reddito rimane, l’incertezza si sente più di prima. Lo si vede anche dagli ultimissimi dati della contabilità nazionale.

 

Cosa dicono questi dati? 

Che si sta verificando un altro fenomeno mai visto: nel primo trimestre di quest’anno il reddito disponibile è aumentato, di poco, ma i consumi sono diminuiti. Il risparmio che era in caduta libera ormai da vent’anni, ed era arrivato all’8%, è aumentato.

 

Di per sé non è un fatto negativo. 

Vero, dipende da tanti fattori. Certo che in una situazione di crisi come questa, l’aumento del tasso di risparmio vuol dire che l’incertezza sta raggiungendo livelli difficili da governare. Si sta replicando quello che è successo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna nel 2009.

 

Cos’era successo?

Nel 2009 quando è scoppiata la crisi violenta in quei due paesi il risparmio delle famiglie è improvvisamente aumentato. Le famiglie sono indebitate, quindi devono innanzitutto risparmiare e consumare di meno. In secondo luogo…

 

In secondo luogo? 

Quando una famiglia è indebitata e il quadro è così incerto, quando le prospettive di mantenere il lavoro non ci sono, per quanto è possibile una famiglia tende a consumare di meno e a risparmiare un pochino di più. Ma questo, di nuovo, mette l’economia in una situazione di difficoltà. Globalmente, quello che va bene per la famiglia, diventa un problema per il Paese. C’è un’ultima cosa.

 

Prego. 

L’Istat, per correttezza, dice nel rapporto che il margine dell’errore statistico è aumentato. Può essere, ma secondo me quei dati sono veri e può essere che sottovalutino la realtà.