La municipalità di Detroit ha presentato richiesta di bancarotta per un debito pari a 20 miliardi di dollari. Sede delle tre più importanti case automobilistiche americane, Chrysler, Ford e Gm, Detroit si è trasformata nell’arco di 50 anni da una metropoli da 7 milioni di abitanti a un centro popolato da 714mila persone. Colpa della crisi del mercato dell’auto, che ha lasciato senza lavoro milioni di operai. E anche il commissariamento del Comune, nel dicembre scorso, non è bastato a risolvere i problemi finanziari della città. Ilsussidiario.net ha intervistato Mario Seminerio, economista autore del blog Phastidio.net.



A differenza dell’Italia, dove ci sono Comuni in gravi difficoltà i cui debiti sono ripianati dallo Stato, negli Usa anche una singola città può essere lasciata fallire. E’ meglio la via americana o la nostra?

Sul piano strettamente economico quanto è avvenuto a Detroit fa parte di una situazione normale e fisiologica. I Comuni e le municipalità possono emettere debito, sulla cui solvibilità poi devono anche rispondere. Esiste una situazione di autonomia finanziaria, cui i Comuni devono fare fronte con risorse proprie. Per quanto riguarda la gestione della spesa, il personale pubblico locale può essere assunto e licenziato con grande facilità.



Quindi il fallimento di Detroit porta alle estreme conseguenze una tendenza già in atto?

Sì, ed è stata la costante della crisi americana dal 2008 in avanti, in quanto a livello statale, di contea e di municipalità si sono persi moltissimi posti di lavoro pubblici perché gli enti locali sono stati costretti a licenziare. Sono quindi favorevole a un assetto come quello statunitense, nel quale c’è autonomia impositiva, per esempio, per quanto riguarda le imposte immobiliari, che sono calcolate su valori di mercato e non invece su parametri astratti come avviene in Italia, dove danno adito a tutta una serie di sperequazioni e di distorsioni.



Che cosa succederebbe in Italia se, per esempio, la Sicilia dichiarasse bancarotta come ha fatto Detroit?

Ciò non potrebbe accadere perché mancano le strutture giuridiche. Nella peggiore delle ipotesi, la Sicilia sarebbe commissariata dal governo centrale e riceverebbe confortevoli trasfusioni di risorse finanziarie. E ciò malgrado, nel caso specifico, stiamo parlando di una Regione a Statuto speciale che trattiene presso di sé la totalità delle sue risorse fiscali e ne riceve altre. Purtroppo in Italia viviamo il paradosso che le Regioni a Statuto speciale sono orgogliose della loro autonomia quando si tratta di spendere, mentre quando si tratta di chiudere i buchi invocano gli aiuti esterni. E’ un fatto che fa parte di tutte le innumerevoli ipocrisie di questo Paese.

 

L’Ue non ha lasciato che la Grecia andasse in bancarotta, mentre gli Usa fanno fallire Detroit: significa che il sistema europeo è più solidale?

No, significa che il debito di Detroit non è sistemico. Un fallimento e un abbattimento del valore del debito di Detroit non produce cioè conseguenze in California, Texas o New York. In primo luogo ciò avviene perché si tratta di importi relativamente contenuti, in quanto il debito sul quale è dichiarata l’insolvenza è di 20 miliardi di dollari, una somma marginale rispetto al Pil degli Stati Uniti. Ma soprattutto negli Stati Uniti i cosiddetti “municipal bond”, buoni obbligazionari comunali, hanno un trattamento fiscale tale per cui non tendono a circolare per tutto il Paese, a essere acquistati dalle banche e a essere mesi a leva.

 

Qual è la differenza rispetto al caso greco?

Il debito greco era nelle mani di banche straniere, le quali a loro volta hanno rischiato il dissesto e quindi di essere escluse dall’erogazione di credito da altre banche. La differenza tra Usa e Ue non consiste quindi nel concetto di solidarismo, ma in quello di sistemicità. Gli Usa sono uno Stato federale autentico e genuino, con la possibilità di avere delle crisi che nascono, si sviluppano e si concludono in ambito strettamente locale senza contraccolpi a livello nazionale.

 

(Pietro Vernizzi)