Il Tesoro potrebbe cedere quote di società pubbliche. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, in un’intervista a margine dei lavori del G20. In alternativa, ha aggiunto il Ministro, gli asset di queste aziende potrebbero essere utilizzati come collaterali per la riduzione del debito pubblico. Una nota del Ministero ha successivamente precisato che nell’intervista Saccomanni “non ha mai citato specifiche società, né specifiche ipotesi di vendita”. Ilsussidiario.net ha raggiunto Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, per chiedergli un commento.
Il ministro Saccomanni ha annunciato la cessione delle società controllate dal Tesoro. Cosa ne pensa?
Mi sembra un’ottima idea. È importante che diminuisca la quota del Tesoro in aziende come l’Eni e l’Enel, affinché diventino sempre più imprese di mercato. Per mantenere il controllo basta la golden share
Vede delle difficoltà?
Il discorso si fa più complicato per Finmeccanica, che deve essere rilanciata dopo le vicende giudiziarie. Ci sono poi altri compiti difficili.
Quali?
Ad esempio, la privatizzazione di Fincantieri, attualmente bloccata dai sindacati che non vogliono si lavori di sabato. Questo genera danni alla gestione economica dell’impresa che punta a espandersi sul mercato internazionale.
Poste e Ferrovie seguiranno lo stesso destino?
Certo. La messa in borsa di grandi complessi che sono ancora al 100% pubblici, come le Ferrovie o le Poste, che fanno entrambe utili, è importante. Sia per ridurre l’onere del debito pubblico, sia per dare loro respiro che possono ottenere con la quotazione in borsa.
Un disegno molto ambizioso.
Se Letta si mette su questo piano, a mio parere, toglie al suo rivale Renzi ogni argomento per apparire un innovatore.
Un piano del genere incontrerebbe il favore sia del centrodestra che del centrosinistra?
Questo programma piace al Pdl; nel Pd invece è ancora alla stato nebuloso. In una situazione del genere, la scelta di Letta sarebbe davvero innovativa. Darebbe una svolta al governo.
Liberarsi di aziende che generano profitti, non è un controsenso?
Non si tratta di liberarsene. Per Eni, Enel e Finmeccanica si tratta di mantenere la quota minima di controllo, coinvolgendo altri azionisti, che possono essere il mercato o anche soci interessati, come i fondi di investimento internazionale, che partecipano al rendimento di queste imprese.
Il rischio di svendere è sempre in agguato.
Naturalmente le operazioni vanno fatte con criteri diversi da quelli che stabilì Prodi. Non si tratta di svendere ma di vendere bene.
Come?
Nel caso delle imprese strategiche, o meglio di pubblica utilità, come quelle energetiche, è sicuramente necessario garantire l’indipendenza del management. Cosa che, nel caso dell’Eni, è peraltro già ampiamente evidente. Ma queste non sono le cose più importanti.
Quali sono quelle importanti?
Quello che conta è la trasformazione di questi giganti di marmo – Ferrovie, Poste, Anas, Fincantieri – che stanno dentro la serra calda del 100% dello Stato, e magari degli intrecci politici e sindacali, in imprese di mercato.
Per Saccomani c’è anche un’altra via: quella di usare quote delle società come “collaterali”.
Questo è molto interessante. Fa parte di un progetto che avevo presentato. Mi piacerebbe che lo utilizzassero.
Cosa prevedeva il suo progetto?
La mia idea è che non è tanto necessario vendere le quote di queste imprese, quanto utilizzarle come garanzia del nostro debito pubblico.
Può spiegare meglio in che modo?
Se noi usiamo come garanzia collaterale del nostro debito quote di beni pubblici, che naturalmente siano redditizi, riusciamo a ridurre il rischio dell’investimento nel debito pubblico. Privatizzandolo lo rendiamo più appetibile. Questi collaterali alla fine potrebbero diventare degli swap. Detto in altre parole, chi possiede una quota di queste imprese, come collaterale del debito pubblico, potrebbe convertire il debito pubblico in queste imprese pro quota.
Può fare un esempio?
Ad esempio, se il collaterale è un quarto del valore del debito, mettiamo 50 miliardi, con quella cifra si possono garantire 200 miliardi di debito pubblico (4 volte il valore del collaterale) rendendolo più sicuro. Nello steso tempo chi possiede una parte di debito pubblico potrebbe aspirare a diventare proprietario di questi beni. Con uno swap, un’opzione. Questo schema andrebbe utilizzato con fondi di investimento italiani, assicurazioni sulla vita italiane, risparmio gestito italiano e altri soggetti del nostro Paese.
Quali sarebbero i vantaggi?
In questo modo riusciremmo a ridurre il debito pubblico incrementando la ricchezza privata.