Tutto ormai depone a sfavore dell’ipotesi che lo Ior possa continuare a esistere e a condurre le proprie attività restando uguale a se stesso: le dimissioni del direttore generale Paolo Cipriani e del suo vice Massimo Tulli, precedute dall’arresto di monsignor Nunzio Scarano, ex responsabile dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica), sono solamente e probabilmente la punta di un iceberg che emerse (tra le altre volte, e senza scomodare i casi Calvi, Orlandi, ecc…) all’epoca in cui Ettore Gotti Tedeschi fu sfiduciato dal Consiglio dei laici e attaccato con inedita durezza. Si disse che, in realtà, non gli fu perdonato il tentativo di adeguare l’istituto alle norme europee sull’antiriciclaggio, affinché anche il Vaticano potesse entrare nella White list dei Paesi virtuosi. Tra i tanti episodi che vedono al centro lo Ior (o comunque in una posizione non secondaria) vi è, ovviamente, lo scandalo Vatileaks e l’arresto di Paolo Gabriele, ex maggiordomo di Benedetto XVI. Quest’ultimo, poi, non è escluso che abbia dato le dimissioni anche perché, così facendo, tutte le cariche all’interno della Santa Sede sarebbero decadute. Arriviamo a oggi, con Papa Francesco che afferma chiaramente la volontà di rinnovare la banca Vaticana. Magari, abolendola. Roberto Mazzotta, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, ci dà la sua interpretazione dei fatti.
Cosa ne pensa di tutta la vicenda?
Beh, quando il Papa ha fatto presente che San Pietro non aveva una banca, aveva ragione; inoltre, i guai maggiori, a nostro Signore, sono capitati per colpa del cassiere… Detto questo, credo che i gruppi di lavoro che sono stati messi in piedi avranno il compito di portare all’archiviazione dello Ior.
Addirittura?
Pensiamo all’interesse della Chiesa, rispetto alla tutela della sua funzione religiosa e spirituale: nell’Europa del ‘900, che ha conosciuto il nazismo e il sistema sovietico, poteva avere senso che il Vaticano disponesse di una struttura di intermediazione finanziaria in grado di assicurare che l’entrata e l’uscita di determinati flussi di denaro fossero autonome e al riparo dalle incursioni di altri sistemi politici.
E oggi?
Oggi, considerando che l’Europa, dove la Chiesa ha il suo centro vitale, è priva di Stati aggressivi, tale struttura è totalmente priva di significato. E, come in qualunque altro contesto, accade che ciò che non ha più significato e ha fatto il suo tempo si presti a degenerazioni, ed escogiti altri metodi per giustificare la propria esistenza. Spesso, secondo dinamiche che non hanno nulla a che fare con la natura della realtà che servono. Si dà il caso che la Santa Sede disponga di un apparato di carattere secolare al servizio di un disegno spirituale e che, in quest’ottica, gli elementi come i conti secretati non abbiano più alcuna ragione di esistere.
Eppure, la Chiesa ha pur sempre delle esigenze finanziarie.
E’ indubbio. Compito dello Ior è sempre stato quello di ricevere i flussi che arrivano da tutto il mondo per ridistribuirli secondo le esigenze del Santo Padre e della Chiesa, e per sostenere le miriadi di iniziative socio-umanitarie sparse ai quattro angoli del globo. Oggi, un’attività del genere può facilmente essere svolta attraverso una convenzione con qualsiasi banca internazionale, nel pieno rispetto della regolamentazione vigente.
In tal senso, si ipotizza la realizzazione di una banca etica e di una fondazione esterna alla Santa Sede.
Le soluzioni che comportano la cessazione della funzione finanziaria dello Ior possono essere di vario tipo. Indubbiamente, è lecito ipotizzare fondazioni volte a sostenere le più disparate iniziative senza svolgere per forza intermediazione creditizia. Ribadisco che di istituti che effettuano tali attività ce ne sono in abbondanza, sono in concorrenza tra di loro, e dispongono di tutti gli strumenti necessari per rispettare le normative comunitarie e internazionali, specie in materia di trasparenza.
Da questo punto di vista, crede che oggi esista ancora la cosiddetta finanza cattolica?
Se la intendiamo come lobby, direi di no. Sarebbe, invece, interessante concentrare le energie per comprendere in che termini il bagaglio di valori di ispirazione cristiana sia applicabile all’esercizio dell’attività finanziaria, e se persista la volontà di aprire un dibattito del genere; sarebbe altresì utile, specie in questa fase travolta dal cambiamento, comprendere quale possa essere il contributo del pensiero cristiano – che dal punto di vista della dottrina sociale è tutt’altro che irrilevante – alla creazione di strumenti e di equilibri inediti. Restringendo il campo all’aspetto puramente bancario, dobbiamo chiederci come tornare a gestire la finanza affinché possa servire l’economia reale e non più solamente se stessa. In un mondo in cui il totale dell’intermediazione finanziaria è un multiplo del pil globale, una riflessione volta a far dimagrire sia nei volumi che nei metodi la finanza speculativa è necessaria quanto, purtroppo, carente.
(Paolo Nessi)