Il calo del Pil, passato dal -1,3% di marzo al -1,9% di oggi, potrebbe richiedere una nuova manovra correttiva dei conti pubblici in autunno. Anche perché se si vuole evitare l’aumento dell’Iva e il pagamento dell’Imu bisognerà trovare delle coperture alternative al mancato gettito fiscale previsto. Ne abbiamo parlato con Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



Professore, qualcuno ipotizza una nuova manovra correttiva in autunno. Cosa ne pensa?

Se ci troviamo con il debito pubblico più alto d’Europa dopo quello greco, e per di più in costante crescita è proprio per queste piccole, minuscole, continue, infinite manovre di meri contabili. Che pensano di non poter influenzare la crescita economica.



A chi si riferisce?

Tutti i governanti che si sono succeduti negli ultimi 3-4 anni in Europa che con il loro atteggiamento hanno causato la recessione.

Non si salva nessuno?

Se c’è una cosa che va detta è che mentre la crisi del 2008 ci è stata imposta, quella del 2012-2013 è una recessione sadomasochista, che stiamo imponendo a noi stessi. Per di più in un momento in cui nel resto del mondo, Giappone e Stati Uniti in primis, hanno capito che è solo la politica economica che ci salva. In più queste minuscole manovre hanno un ruolo importantissimo nel deprimere uno dei motori fondamentali dell’economia: l’ottimismo. Le faccio un esempio.



Prego.

Oggi ho lasciato la macchina dal meccanico, il quale mi ha detto che ormai la gente fa di tutto pur di rinviare le spese e tesoreggiare le risorse che ha. Vuol dire che i nostri politici non sanno trasmettere quell’ottimismo che è il volano naturale degli investimenti. Queste manovre non fanno altro che portare l’idea che non esiste un futuro pieno di potenzialità davanti a noi.

Le conseguenze in effetti sono disastrose.

La domanda privata è scappata. Abbiamo un meno 3,9% nel primo trimestre 2013 nelle costruzioni: una cosa mostruosa.

Al posto delle manovre cosa servirebbe?

È tempo che l’Europa si svegli altrimenti l’euro salterà. L’uomo vuole vivere felice; a un certo punto prenderà le sue decisioni e chiederà ai nostri governanti di abbandonare l’area dell’euro, colpevolizzando l’euro. Mentre dovrebbe colpevolizzare chi l’euro non ha saputo sfruttare. Che anziché essere un’enorme possibilità di sviluppo, di commercio e interazioni, ci è stato presentato in termini di austerità e di riforme irrilevanti. C’è anche un paradosso.

 

Quale paradosso?

 

Noi che ci rifiutiamo di fare spesa, quella vera, quella buona, sopravviviamo grazie alla spesa del premier giapponese Abe che ha deciso di usare la spesa pubblica nel modo in cui noi ci siamo rifiutati di farla: un’ipocrisia mostruosa. Questo ci mette nelle gravissime condizioni di essere nelle mani del resto del mondo e non essere padroni del nostro destino. Se qualcosa va male in Cina o negli Stati Uniti, anche il nostro export fuori dall’Ue si spegne.

 

La manovra, semmai ci sarà, potrebbe essere dovuta principalmente al mancato gettito fiscale…

 

Quando il Pil crolla, le entrate crollano, nel resto del mondo lo Stato viene incontro a queste difficoltà abbassando le aliquote o spendendo un po’ di più per aiutare l’economia a riprendersi. Cosa succede in Europa?

 

Cosa succede?

 

Da due o tre anni a questa parte, di fronte al calo del Pil e al crollo delle entrate, lo Stato invece di abbassare le tasse le aumenta. Invece di rivitalizzare il malato, gli dà il veleno per farlo fuori definitivamente. Come dice giustamente Krugman, abbiamo capito che l’austerità non funziona, proviamo a fare il contrario. Dobbiamo avere questo coraggio.

 

E fare tutti come Abe?

 

Abe ha avuto questo coraggio. E sta andando bene, tra l’altro con il pieno sostegno dei mercati. Perché i mercati si nutrono di crescita. Se vedono che qualcuno risolve i problemi generando crescita, non gli interessa come ha fatto.

 

Usciremo mai da questa situazione?

 

Potremmo tranquillamente uscire se soltanto qualcuno decidesse di scommettere su una misura alternativa a quelle finora adottate. E di non essere responsabile di terribile fallimenti e sofferenze.