Ci sono “prospettive per una ripresa economica più avanti nell’anno” e nel 2014. Ma non appena il presidente della Bce, Mario Draghi, ha spiegato che a sostenere il rilancio “dovrebbe essere la politica monetaria accomodante della Banca centrale, che resterà così fino a quando sarà necessario”, l’euro ha cominciato a scendere sui mercati monetari. Al contrario, i listini azionari hanno accelerato lasciandosi alle spalle le preoccupazioni dei giorni scorsi: la crisi egiziana sembra risolta, almeno a giudicare dal decollo della Borsa del Cairo, che festeggia l’eclissi dei Fratelli musulmani; nemmeno il blackout del governo portoghese sembra in grado di guastare la festa.
Il copione si è già verificato un’ora prima, quanto dalla sede di Threanedle Street era stato emesso il primo comunicato della Bank of England dopo la nomina del neo governatore Mark Carney: “I mercati – si legge – hanno reagito in maniera eccessiva alla prospettiva della fine del Qe da parte della Fed. L’ascesa dei tassi rispetto ai livelli attuali non è nell’ordine delle cose”. Dopo queste indicazioni il tasso di cambio della sterlina sul dollaro si mosso con decisione al ribasso.
L’Eurozona e il Paese non euro più importante del Vecchio continente, dunque, marciano all’unisono in una sola direzione. E senza tentennamenti perché, ha sottolineato Draghi, l’indicazione rispecchia una “guidance” sull’orientamento futuro del Consiglio della banca, che ha voluto trasmettere un “bias”, cioè una tendenza di base, al ribasso ai tassi di interesse europei. Una guidance, grande novità, che non riguarda solo i tassi attivi, cioè quelli dei prestiti della Bce, ma anche il tasso sui depositi. Insomma, per un lungo periodo i tassi europei resteranno bassi.
Sta qui la grande novità di un appuntamento che, alla vigilia, sembrava di routine e si è rivelato invece di estrema importanza. Per più ragioni. Primo, per il cambio di passo nelle comunicazioni. È la prima volta che la Bce si spinge a dettare una guidance, ovvero una indicazione a lungo termine sulle proprie azioni. Finora non era mai successo. Anzi, Jean-Claude Trichet era solito ripetere che la Bce non poteva porsi obiettivi di guidance, dati suoi compiti istituzionali. Francoforte, a differenza della Fed, ha come obiettivo la salvaguardia del valore della moneta dall’inflazione. Di qui una linea d’azione difensiva e reattiva, di fronte alle novità della congiuntura, piuttosto che proattiva e propositiva.
Draghi ha rotto con questa tradizione: la banca centrale, in maniera implicita, ha sposato la tesi per cui la Bce, al pari di quanto fa la Fed, deve operare in funzione di sostegno alla crescita. Certo, la strategia funziona perché compatibile con livelli di inflazione infima, comunque tali da non suscitare le preoccupazioni della Bundesbank. Ma segna un cambio di passo rilevante, oltre che un’indicazione non equivoca verso i mercati.
Seconda novità. Dietro Draghi c’è l’intero consiglio della Bce. Meno di un mese fa le scelte più importanti del presidente dell’Eurotower sono state messe sotto processo dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe su richiesta della Bundesbank. Oggi, al contrario, la Banca centrale si è mossa unita. Le ragioni? L’euro debole non dispiace all’industria tedesca, vista la frenata dell’export soprattutto nei confronti della Cina. A dieci settimane dalle elezioni, poi, una crisi all’interno dell’Unione europea è l’ultima cosa che Angela Merkel possa desiderare. Di qui la convinzione, giusta, di Draghi che stavolta Berlino sarà comprensiva sia nei confronti del Portogallo che della Grecia.
I mercati, infine, applaudono: poche cose infastidiscono i mercati come l’instabilità estiva alla vigilia delle vacanze. La novità di una guidance a lungo termine è quanto di meglio si possa attendere. Soprattutto se si guarda ai tormenti passati nel 2011 e nel 2012.
In che misura gli annunci di ieri possono favorire il nostro Paese? La prospettiva di un costo del denaro basso è la premessa necessaria (seppur non sufficiente) per la ripresa che potrebbe prendere velocità entro la fine dell’anno. Certo, la politica monetaria non è tutto. Per dare sprint al motore della ripresa sarà necessaria una politica fiscale più energica, circostanza che potrebbe maturare in autunno se, finalmente, l’Italia avrà dimostrato di saper portare avanti programmi di investimento veri, non solo sulla carta.
È questa la prova del nove a cui siamo attesi. E che non possiamo sprecare. Non è impossibile. Basta ritrovare lo spirito di cinquant’anni fa quando, proprio agli inizi di luglio, l’Iri firmò a Londra un accordo storico: il primo eurobond di sempre, legato al primo project financing moderno, l’Autostrada del Sole. Il prestito di 15 milioni di dollari dell’epoca a sei anni, da ripagare con i pedaggi dell’arteria, fu una novità rivoluzionaria su cui si sono costruite le fortune della City.
Oggi come allora non mancano i capitali in cerca di buoni affari. Oggi come allora i rendimenti dei mercati monetari sono così bassi da stimolare la ricerca di impieghi alternativi, meglio se investimenti con un solido progetto industriale alle spalle. A completare il quadro arriva una guidance favorevole. Guai a sprecare l’occasione per le trattative estenuanti imposte da politica e burocrazia.
Tra un anno, l’Italia non dovrà preoccuparsi solo del deficit, bensì, come prevedono i trattati da noi sottoscritti, anche del debito, che dovrà essere ridotto di un 3% annuo. Un’impresa impossibile se nel frattempo non si riavvierà la macchina della crescita. Insomma, se non ora, quando?