Non v’è chi non veda la produzione industriale in caduta libera negli ultimi 10 anni: il crollo delle aziende italiane tra il 2002 e il 2012 è stato del 17,8%. Rispetto al 2007, ultimo anno prima della crisi, il risultato del 2012 peggiora ulteriormente scendendo al -20,7%. È quanto emerge dai dati contenuti nelle tabelle dell’Istat sull’attività delle imprese industriali, elaborate dall’Adnkronos. Eh già, le attività manifatturiere, in un decennio, hanno ridotto la produzione industriale del 19,4% e, negli ultimi cinque anni, del 21,3%. Tornando ai numeri della produzione industriale, nel complesso, c’è stato un leggero incremento degli ordinativi che, in dieci anni, sono aumentati dell’1,6%, mentre c’è stata una contrazione del 18% rispetto a cinque anni prima. Anche il fatturato segna un forte calo nell’ultimo periodo (-8,8%), mentre dal confronto con il 2002 emerge un incremento del 9,4%.
Segnali negativi arrivano anche dal lavoro, con l’occupazione nelle grandi imprese che, rispetto al 2002, è diminuita del 16,2%. L’analisi anno per anno evidenzia che il calo è stato continuo e costante, senza impennate nel periodo della crisi. Si riducono anche le ore lavorate per dipendente, che segnano un calo dell’1,4%. Non conosce segni negativi, invece, il costo del lavoro che dal 2002 al 2012 aumenta del 34,7% per dipendente.
Ricapitoliamo: per i big dell’industria gli ordini salgono poco o nulla, il fatturato pure; riducono l’occupazione del 16,2% e pure le ore lavorate. Già, c’è però un +34% di costo del lavoro per dipendente. Sì, ma finisce quasi per intero sulle retribuzioni lorde per dipendente che nello stesso periodo registrano un +34,6%. Quindi quell’aumento va tutto in cuneo; insomma, per rifocillare, si fa per dire, quello Stato in spending review. Sì, perché nel frattempo i salari reali sono rimasti al palo in Italia negli ultimi venti anni. Lo dice l’Istat nel suo rapporto annuale: “Tra il 1993 e il 2011 le retribuzioni contrattuali mostrano, in termini reali, una variazione nulla, mentre per quelle di fatto si rileva una crescita di quattro decimi di punto l’anno”.
Appunto, quattro decimi di punto e l’inflazione quanti decimi ha sottratto a quegli aumenti? Beh, lasciamo perdere! Non lasciamo perdere: negli ultimi due decenni, evidenzia il rapporto, “la spesa per consumi delle famiglie è cresciuta a ritmi più sostenuti del loro reddito disponibile, determinando una progressiva riduzione della capacità di risparmio. Complessivamente, dal 2008 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,1% in valori correnti, ma il potere d’acquisto (cioè il reddito in termini reali) è sceso di circa il 5%”.
Indi per cui, nel 2012 la spesa media mensile per famiglia è stata pari, in valori correnti, a 2.419 euro, in ribasso del 2,8% rispetto all’anno precedente. Lo rileva l’Istat, precisando che la spesa è fortemente diminuita anche in termini reali (l’inflazione lo scorso anno era al 3%). Beh, a conti fatti, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.
Eppure, dal Governo arrivano sprazzi di ottimismo sulla congiuntura economica: “Siamo al punto di svolta del ciclo” dice Saccomanni. Già, ma a fronte di una spesa aggregata, che quando non decresce langue e disgrega la domanda, come farà a crescere l’economia?