“Far cadere il governo avrebbe costi per la nostra economia che andrebbero ben oltre i 7 miliardi in più di tasse calcolati dalla Cgia di Mestre”. Ne è certo il professor Francesco Forte, economista di spicco ed ex ministro delle Finanze, secondo cui “se si sfaldasse la maggioranza delle larghe intese l’Italia perderebbe il treno della ripresa che inizia a farsi sentire in tutta Europa, con la disoccupazione che ricomincerebbe a salire a ritmi vertiginosi”. A questo si aggiungerebbe la batosta fiscale prevista dall’ufficio studi della Cgia di Mestre. Senza governo infatti i proprietari della prima casa entro il 16 settembre dovranno versare la prima rata Imu e a dicembre il saldo, pari in totale a 4 miliardi e 770,6 milioni di euro. A ciò si aggiungerebbe l’aumento dell’aliquota Iva dal 21 al 22%, che scatterebbe il primo ottobre, e l’inasprimento della tariffa rifiuti (Tares).
Professor Forte, davvero se cade il governo gli italiani pagheranno 7 miliardi in più di tasse?
Eccezion fatta per la Tares, che è basata sulla capacità dei Comuni di gestire le loro risorse finanziarie, il calcolo della Cgia di Mestre è sensato. Il vero problema non è però che si pagherebbero più imposte, ma che la caduta del governo provocherebbe una crisi per l’economia tale per cui l’Italia rischierebbe di non risolvere il problema nemmeno con l’aumento del carico fiscale.
Per quali motivi?
Se la maggioranza delle larghe intese non dovesse tenere, la caduta del Pil genererebbe una minore capacità di entrata. I barlumi di crescita che si intravvedono sparirebbero e la disoccupazione salirebbe ancora di più. L’Italia diventerebbe un Paese ancora più in crisi, proprio mentre i nostri partner europei inizierebbero la risalita. In questo momento ci sono segni di miglioramento un po’ ovunque, in Italia più che altrove, anche perché la nostra crisi era meno grave dal punto di vista degli squilibri e più dovuta a cause esterne.
E quindi?
Il punto centrale non sono i 7 miliardi in più di tasse di cui parla la Cgia di Mestre, ma la nuova perdita di capacità di crescita, la nuova crisi dell’economia, la mancata soluzione di problemi fondamentali che invece vanno affrontati il prima possibile.
Berlusconi ha affermato che abolire l’Imu sulla prima casa consentirebbe il rilancio del settore edilizio. E’ d’accordo con lui?
C’è una sproporzione tra la realtà e le tesi di Pd e Saccomanni. L’Imu in questo momento sta rendendo un gettito molto elevato anche senza la parte di imposta relativa alla prima casa. Di fatto si tratta di 20 miliardi su base annua, cioè la stessa cifra che era stata prevista dal governo Monti per l’intera Imu inclusa la prima casa. I Comuni sono andati al di là delle previsioni perché anziché usare le aliquote intermedie hanno usato quelle più alte. L’abolizione della prima casa del resto farebbe perdere soltanto 4 miliardi di euro. Per quanto riguarda l’Imu non c’è quindi un problema di gettito, ma una questione di principio.
In che senso?
Nel senso che c’è un odio ideologico per la proprietà dell’abitazione da parte del centrosinistra. L’economia si basa sulla persona umana e sul suo diritto di proprietà, che da parte di una famiglia si esprime innanzitutto come proprietà di una casa. Berlusconi ha ragione a fare riferimento alla crisi edilizia, che riguarda in gran parte il mercato della prima casa. La maggior parte dei mutui è stipulato infatti per l’abitazione principale. Ma soprattutto, fare pagare sulla prima casa in proporzione alle dimensioni dell’alloggio finisce per essere una misura punitiva nei confronti delle famiglie numerose.
E’ d’accordo con chi afferma che, con la service tax, le famiglie numerose finirebbero per pagare troppo?
Si può decidere di introdurre uno sconto per le famiglie numerose, ma è giusto che la service tax si paghi in proporzione a quanti rifiuti si producono. Non va quindi commisurata ai metri quadri o ai vani dell’alloggio, altrimenti il tributo non rispetterebbe il principio di capacità contributiva che in questo caso consiste nel beneficio del servizio pubblico. Se poi il Comune decide di utilizzare il metodo sbagliato dei metri quadri, penalizza le famiglie numerose. La produzione dei rifiuti può avvenire in funzione del reddito della famiglia, ma anche dell’attività economica dei negozi.
(Pietro Vernizzi)