Un paio di anni fa, Franco Reviglio pubblicò un saggio stimolante sin dal titolo Goodbye, Keynes? Le riforme per tornare a crescere: meno debito, più lavoro. Si noti il punto interrogativo. Oggi all’interrogativo forse si risponderebbe negativamente e un titolo possibile potrebbe essere Welcome Back. John Maynard Keynes. In effetti, si respira tanta aria neo-keynesiana, se con il termine si indicano politiche economiche che puntano sull’aumento della liquidità e della spesa pubblica per portare a piena utilizzazione capacità produttiva non interamente impiegata (specialmente il fattore di produzione lavoro). Due episodi della settimana appena trascorsa – uno più noto, l’altro passato inosservato a molti economisti, forse a ragione del periodo di vacanza – lo mostrano a tutto tondo.



Il più noto riguarda la Bank of England (BoE), ossia la banca centrale della Gran Bretagna. Il nuovo Governatore, il canadese Mark J. Carney (assunto a contratto dopo una selezione internazionale con evidenza pubblica), ha annunciato chiaro e tondo che gli obiettivi di politica monetaria verranno espressi in termini di riduzione del tasso di disoccupazione. Qualcosa del genere lo sta facendo Ben Bernanke negli Stati Uniti, ma non lo dichiara espressamente (anche in quanto gli statuti della Federal Reserve impongono alle autorità monetarie americane di sostenere la crescita, non solo di tenere bassa l’inflazione). Pure in Giappone, l’offerta di moneta corre a briglia sciolta, ma non tanto per specifici obiettivi occupazionali, quanto per perseguire una strategia nazionalista che ridia all’Impero quella che il Governo ritiene la meritata e dovuta centralità dell’arcipelago nel Pacifico.



In effetti, sarà interessante vedere come nell’ambito dell’Unione europea la BoE (il cui obiettivo specifico è di portare il tasso di disoccupazione al di sotto del 7%) potrà convivere con la Banca centrale europea (Bce) guidata da Mario Draghi, che si è data l’obbligo di impedire che il tasso d’inflazione superi il 2% l’anno. È fin troppo facile anticipare uno scontro. Tanto più che in Europa oggi il principale problema è l’occupazione, non l’inflazione.

In questo contesto, l’8 agosto è arrivato agli abbonati un breve (31 pagine) ma importante paper di Kaushik Basu, Vice Presidente Senior e Capo Economista della Banca mondiale (nonché componente del direttivo dell’Iza, uno dei due maggiori istituti di ricerca della Repubblica federale tedesca) e del Premio Nobel Joseph Stiglitz. Offriamo il testo integrale del documento ai nostri lettori. Il lavoro è una rigorosa analisi teorica in cui si demolisce il Trattato di Lisbona, si fa a pezzi il Fiscal Compact, non si tratta bene la Bce e si propone di emendare il Trattato al più presto per consentire in certe circostanze la “mutualizzazione” del debito sovrano degli Stati dell’eurozona. Quanto da far tremare più di un eurocrate.



Non conosco Basu. Ho avuto una certa dimestichezza con “Joe” Stiglitz all’inizio degli anni Settanta quando, all’Institute of Development Studies dell’Università di Nairobi, con Richard Jolly, John Harris e Michael Todaro si ponevano le basi della “nuova teoria economica dell’informazione”. È un mattacchione un po’ iracondo, ma con il cuore al posto giusto. Il ragionamento di Basu e Stiglitz è disinteressato: non sono parte in causa, ma non gioiscono affatto nel vedere l’eurozona affondare.

La loro analisi è rigorosa. Occorre evitare che venga coperta da una coltre di silenzio in un’estate calda che potrebbe anticipare un autunno rovente.