Oggi scendiamo un po’ nel tecnico, ma reputo che sia necessario per capire quanto sta accadendo e, soprattutto, quanto potrebbe accadere non tra anni ma tra pochi mesi, ovvero quando la Fed dovrà decidere – questa volta sul serio, al di là degli annunci – se rallentare il programma di stimolo o se proseguirlo. E anche per leggere un pochino meglio il clima placido che finora è regnato sui mercati, soprattutto quelli obbligazionari sovrani, completamente usciti dai radar, quasi la crisi europea fosse bella e risolta (ieri il nostro spread era ai minimi da due anni, peccato che il debito pubblico abbia sfondato tutti i record raggiungendo quota 2075 miliardi di euro). Il primo concetto chiave è quello di margine. Il margine è una sorta di deposito che serve al broker che gestisce il portafoglio azionario o il conto titoli come garanzia, nel caso in cui la nostra posizione azionaria subisca una perdita: se il nostro acquisto o vendita non andrà a buon fine, sarà il margine a garantire all’operatore cui ci siamo affidati di poter coprire qualsiasi eventuale perdita derivante da una transazione effettuata. Insomma, il margine e la sua solidità è fondamentale per evitare di veder sparire la nostra equity a seguito di una disavventura nell’investimento.



Il secondo concetto è quello di equity, appunto, la nostra posizione di investimento, ovvero la somma di margine utilizzabile e margine usato. Di converso, per calcolare il margine utilizzabile si sottrae dall’equity il margine usato. Facciamo un esempio. Abbiamo depositato 1.000 euro e non abbiamo ancora aperto una posizione, quindi si ha la seguente situazione: bilancio 1000 euro, margine utilizzabile 1000 euro, margine usato 0 euro ed equity 1000 euro. Ed ecco il terzo, fondamentale concetto, la margin call: si va incontro a tale evenienza quando il margine usato è pari o superiore all’equity. Ad esempio, se dalla nostra equity di 1000 euro, decidiamo di aprire una posizione di 10 euro, il rischio di margin call è praticamente nullo, visto che il margine usato è di 10 euro a fronte di 990 euro di margine utilizzabile e 1000 di equity. Se però continuiamo ad aprire posizioni per un totale che arriva, poniamo, a 950 euro, il margine usato si avvicina pericolosamente alla nostra equity e c’è il rischio di un margin call. Quando le nostre posizioni iniziano a perdere, inizia a scendere anche il nostro margine utilizzabile e quando scende il nostro margine utilizzabile, scende anche la nostra equity: quando scende al di sotto (o è al pari) del margine usato, riceviamo un margin call e le posizioni vengono chiuse automaticamente dal broker. Liquidate.



Quarto e ultimo concetto, il margin debt, ovvero la somma della quantità di denaro che le istituzioni finanziarie hanno prestato per acquistare titoli azionari sul Nyse, la Borsa di New York, avendo come garanzia i titoli azionari stessi. Facciamo il solito esempio, simulando di essere investitori statunitensi. Ho 5000 dollari sul mio conto titoli con la banca XY per comprare azioni YZ, ma il mio istituto, vista l’esuberanza dei mercati garantita dal Qe eterno della Fed, mi garantisce la possibilità di comprare altri 5000 dollari di titoli sul Nyse prestandomeli e tenendosi a garanzia i titoli YZ che ho appena comprato. Colgo l’occasione e compro altri 5000 dollari di titoli YZ, quindi sul mio conto titoli avrò 10000 dollari in titoli YZ e un debito con la mia banca XY di 5000 dollari – su cui ovviamente pago gli interessi – per una valorizzazione netta del mio conto di 5000 dollari. Un azzardo, visto che si scommette su un debito, ma finché gli indici azionari newyorchesi sfondano un record dopo l’altro, chi ha voglia di preoccuparsi del domani? Si pensa a fare soldi, il più possibile e velocemente, come mostra la correlazione in questo grafico.



Ma la banca XY nel mio contratto di prestito titoli ha messo una clausola, in base alla quale ha il diritto di vendere la mia posizione azionaria se la valorizzazione netta del mio conto scende sotto una certa soglia. E non pensiate che serva un’ecatombe perché scatti la margin call e la liquidazione dei titoli: dipende da quanto margine ho e quanto cala il titolo che detengo in portafoglio. Siccome il margin debt è un indicatore molto importante del cosiddetto “moral hazard” e dell’esposizione del mercato alla leva, a metà di ogni mese la Borsa di New York pubblica i dati relativi al totale costituito sulle azioni quotate al Nyse, ovvero quanto denaro è stato dato in prestito da tutte le istituzioni finanziarie per acquistare titoli alla Borsa newyorchese, avendo messo come garanzia altri titoli azionari. Dato complementare che viene reso noto è quello del grado di capitale libero da margini in miliardi di dollari, ovvero il denaro non soggetto a prestito da parte di istituzioni finanziarie e che viene utilizzato per operare al Nyse.

Ora guardate questo grafico: la linea rossa rappresenta la quantità in miliardi di dollari di denaro prestato dalle istituzioni finanziarie per comprare titoli sul Nyse, usando come garanzia gli stessi titoli azionari (ovvero il margin debt), mentre le parti in nero rappresentano la quantità di capitali liberi da vincolo. Penso che, al netto di quanto spiegato finora, possiate trarre da soli le vostre conseguenze.

 

 

Se, come è stato storicamente fino a oggi, il dato del margin debt risulta essere un buon indicatore del rischio, capite da soli il perché la Fed continui a inviare segnali divergenti sulla fine del Qe, vero motore immobile di questo colossale rally sui margini della Borsa statunitense. L’ultima volta che è stato toccato il picco attuale del margin debt, in area 380 miliardi di dollari, è stato nel luglio del 2007, quando si registrò la cifra record di 381 miliardi di dollari: subito dopo, la crisi finanziaria globale ebbe inizio. Stessa cosa accadde nel 1999-2000. Dopo i minimi di mercato del 2009, il margin debt risalì fino alla contrazione della tarda primavera del 2010, protrattasi per tutta l’estate e conclusasi soltanto grazie all’annuncio di fine agosto giunto da Jackson Hole, quando Ben Bernanke attivò in grande stile la stamperia di Stato. Da allora, l’appetito per il margin debt ha ritrovato vigore. Nello scorso mese di marzo il margin debt era a quota 379 miliardi, in aprile ha sfondato ogni record salendo a 384 miliardi, poi è cominciato a scendere, guarda caso in concomitanza con le prime frizioni all’interno della Fed e con la possibilità del cosiddetto “taper” che diventava sempre più reale, almeno a parole. In maggio 377 miliardi di dollari, in giugno 376,6 miliardi: dopo Ferragosto avremo il dato di luglio, ma non mi stupirebbe che fosse sceso ancora, anche se di poco.

Non serve essere un abile e raffinato analista finanziario per capire che ci troviamo di fronte a un parallelismo quasi perfetto, tale da doverci far preoccupare per il rovescio della medaglia rappresentato dal margin debt: questo infatti ha un effetto moltiplicatore nel far salire le quotazioni dei titoli, ma funziona anche da dinamo quando e se dovesse scattare una margin call che faccia sparire quel denaro prestato per acquistare titoli su titoli. Se infatti per coprire la posizione si è costretti a vendere azioni in un mercato che cala, non si fa altro che accelerare la velocità e ampliare il volume del calo, tramutandolo in un crollo. Inoltre, molti analisti vedono nell’attuale debolezza di oro e argento un altro segnale dell’inversione dei corsi in arrivo. Insomma, quando sarà finita la sell-off sui metalli preziosi, gli investitori con le spalle meno larghe cominceranno a vendere altri assets, fino a dover liquidare azioni statunitensi per andare incontro alle richieste di margine.

Ora la domanda da porsi è: aprile ha rappresentato un picco, visto il calo nei mesi successivi? Non è domanda da poco, perché nel 2000 il picco del margin debt anticipò di sei mesi la correzione dello S&P 500, mentre nel 2007 di quattro mesi. In un caso avremmo ancora due mesi e mezzo di tempo, nell’altro quindici giorni o poco più. E ancora, se correzione sarà, visto il picco di margin debt, dobbiamo aspettarci qualcosa più del -19,39% registrato tra il 29 aprile e 3 ottobre del 2011? Il tutto in un quadro macro che non vede affatto la ripresa, visto che il Pil statunitense nel primo trimestre è stato rivisto al ribasso dal 2,4% all’1,8%, dopo il quarto trimestre del 2012 in negativo. Gli unici segnali di ripresa arrivano dall’immobiliare e dalla Borsa, ma sono dati drogati dall’afflusso illimitato di denaro da parte della Fed. I tassi sui mutui stanno già salendo e questo potrebbe bloccare anche la poca ripresa del real estate, mentre i costi crescenti sul margine potrebbero impattare sul mercato azionario.

Insomma, se Bernanke sbaglia mossa, potremmo trovarci di fronte a una vera e propria liquidazione azionaria. E se la Fed, annunciando il taper, avvierà una sell-off, l’effetto moltiplicare al ribasso causato dalla corsa alle vendite di titoli garantiti con altri titoli potrebbe davvero tramutare la crisi di Lehman Brothers in una passeggiata nel parco. Ecco perché sembra che il mercato stia con il fiato sospeso in questi giorni d’estate, ecco perché ogni sospiro della Fed pare il verbo assoluto: l’unico margine a non essere negoziabile, in una situazione simile, è infatti quello di errore.

 

P.S.: Avrete appreso da alcuni giornali di ieri del report confidenziale della Bundesbank, pubblicato dallo Spiegel, nel quale si rende nota la scoperta dell’acqua calda: la Grecia avrà bisogno di altri aiuti già a inizio 2014, perché l’operato del governo Samaras è insufficiente. Ora, non vi serviva la Bundesbank di metà agosto per scoprirlo, visto che già da maggio ne parliamo su queste pagine. Di novità sulla Grecia, però, ce ne sono e decisamente poco piacevoli. Ne parliamo giovedì.