Benedetta crisi. Sì, benedetta crisi, perché si imparano tante cose, durante la crisi, sei quasi costretto a sapere di più, a scandagliare cose e valori, a impastarti insieme alla terra nera della depressione generale e, alla fine, ne cavi fuori un guizzo di consapevolezza in più. Provare per credere. Io ho provato e qualcosa è uscita fuori. Il “nero”, il sommerso, quell’“underground economy”, come scriveva anni fa un economista liberale, che lingua parla? Soltanto la nostra, l’italiano, ormai screditato nell’orbe terracqueo, oppure ha imparato nuovi idiomi, più forti e diffusi? Udite udite, esce fuori che il “nero” piace parecchio a parecchia gente; anzi, cementa tanta bella roba in termini economici e perfino in zone di accreditata “verginità” etica e finanziaria, vedi la Germania. Eh sì, con Shakespeare, diciamo: così fan tutti.
Sia chiaro: la crisi è nera anche per il “nero”, ovvio. Se non c’è trippa per gatti, non c’è trippa per gatti, non c’è niente da fare. Cinque anni di penitenza sono tanti e alla lunga anche i palazzi più robusti cedono. Infatti – come segnala la zelante testata di Eugenio Scalfari che mi pare si chiami ancora La Repubblica, fateci sapere eventuali variazioni di brand – dopo il 2009 l’economia del “nero” è stata travolta: la percentuale rispetto al Pil è sceso al 18,5% nel 2013, a fronte di un sommerso bello vigoroso al 20,9% nel 2006. Un’altra fase storica, si dirà. Certo, non c’è che dire. Se perfino in paesi con un sommerso a prova di bomba come il nostro si registra l’inversione di tendenza, questo è un segnale grosso come una casa. Ma, al di là degli oltre 2 mila miliardi di euro sotto traccia e sommersi in Europa (che, francamente, non sono poi una cifra mirabolante rispetto al Pil del Continente), ancora una volta non si vuole cogliere la cifra antropologica della vicenda “nero”.
Trattasi di mera questione di sopravvivenza. Se un mercato è agli stracci e lo Stato manda ai pazzi, come dicono a Roma, per pagare le tasse, io la fattura non la faccio pagare, prendo meno e cash, stop. Fa parte della struttura antropologica dell’umano, non me lo deve spiegare un funzionario del catasto adibito al servizio di polizia finanziaria che si debba fare in un’altra maniera, perché non sta a lui governare le tendenze socio-antropologiche alla sopravvivenza degli uomini. Vorrei che questo fosse chiaro: finché non si rende accettabile il carico fiscale siamo nella jungla e chi può sopravvive appunto come può. Punto e a capo.
Dopodiché torniamo agli imbarazzi di rito. Allora, domanda: chi fa tanto “nero”? D’accordo, l’Italia e la Spagna, e questo si sapeva, soprattutto l’Italia, lo dicono l’Economist, il Financial Times e gli altri giornalini che poi non spiaccicano una sillaba contro le magagne di casa loro, ma va bene così (si fa per dire), mi interessa un altro dato; siamo solo noi, come diceva una vecchia canzone di Vasco? E qui spunta la sorpresa: no, non siamo solo noi. Cioè, siamo in una nobile compagnia di farabutti titolati: nientemeno che Germania e Inghilterra. Ma soprattutto la luterana e sfiancata dai sensi di colpa Germania, governata da una luterana, Angela Merkel, con forti simpatie comuniste giovanili e poi passata al dominio di chi – vedi appunto l’autore delle 95 tesi – si alleò con lo Stato, al fine di controllare le persone, infliggendo loro, per giunta, una dose doppia di sensi di colpa per la sola ragione di esistere: ecco anche questa Patria della Perfezione sbafa soldoni a “nero”, godendo come fosse un bieco e sordido porto mediterraneo. Si tratta di una cifra di non piccolo rilievo: 351 miliardi di euro. Niente male.
Ora, domandiamoci: se economie come l’Inghilterra e la Germania fanno così tanto”nero”, cosa vuol dire? Semplice: che il cash, soprattutto in tempo di crisi, fa comodo e non è mai – proprio mai – sostituibile dal giro delle carte di credito, per ragioni di costi e di immediatezza. Anche qui dobbiamo risalire alla cifra antropologica e sensitiva originaria dell’uomo: quando a noi, da ragazzi, ci davano la paghetta, eravamo contenti e ce l’andavamo a mangiare tutta, perché, se hai i soldi in mano, hai un valore tangibile; se hai la carta di credito, hai un debito in itinere. Tutto qua.
Ecco perché il professor Schneider, che studia il giro di “nero” per conto, guarda un po’, della Visa, potrà certamente prevedere che i pagamenti con carta di credito aumenteranno del 10% per almeno quattro anni, facendo restringere il “nero” del 5%: è la profezia che si deve avverare, a cagione del suo, suppongo cospicuo, contratto con la Visa. E sia. Ma, nonostante le astrazioni “in dem Kopf”, diceva Marx, “nella testa”, di questi soloni e fin troppo “esperti” del girone monetario internazionale via credit card, l’erotica percezione del “pochi, meledetti e subito”, non la toglierà nessuno all’idraulico che, domani, sarà in casa tua per riparare la caldaia. Anzi, quasi quasi mi porto avanti io nel lavoro e lo preavviso fin da subito: naturalmente niente fattura, vero? Grazie.