L’ipotesi e l’augurio del Presidente del Consiglio Enrico Letta riguardo un autunno non caldo da un punto di vista sociale è durato appena dieci giorni. Un’illusione che avevamo già commentato, mettendo nel conto un ulteriore trimestre di recessione reale, soprattutto in termini di disoccupazione reale. Perché dell’euro e della sua capacità di misurare la crescita reale del Paese avevamo già evidenziato i limiti. E il procedere della crisi, insieme alle fosche previsioni degli organismi internazionali, non fanno che confermare il quadro descritto.
Come abbiamo già fatto notare, com’è possibile una qualsiasi ipotesi di ripresa, se si prevede (è fresco il dato a tal proposito della Cna: 3,5 milioni di disoccupati a fine anno) un aumento della disoccupazione? La questione merita un breve approfondimento, poiché interessa gli sviluppi delle soluzioni politiche ed economiche dei prossimi mesi. Evidenziato che l’euro non è uno strumento affidabile di misurazione del valore, un qualsiasi risultato positivo in termini di Pil che dovesse verificarsi nei prossimi mesi potrà essere ottenuto (se la disoccupazione dovesse mantenersi stabile o addirittura crescere) solo in due modi: o con un artificio contabile, o con un aumento della differenza di reddito tra la fascia di reddito più basso della popolazione (la maggior parte) e la parte più abbiente della stessa.
Nel primo caso può succedere che si abbia un aumento numerico del Pil per il solo effetto dell’inflazione (aumenta il valore del denaro che è circolato, ma non aumentano i beni e servizi che sono circolati) o per un aumento delle malattie (maggiori spese sanitarie) o degli incidenti, ecc. Sono innumerevoli i casi in cui il valore numerico del Pil aumenta, ma a questo non corrisponde un maggior benessere collettivo. Anzi, in molti di questi casi il bene comune subisce una diminuzione oggettiva da tutti percepita. Al contempo, la fascia più benestante della popolazione, proprio per una maggiore capacità di investimento o di utilizzo di capitali propri (cioè senza indebitarsi), sentirà molto meno gli effetti di una diminuzione del bene comune.
Nel secondo caso, può darsi che vi sia un aumento del Pil, ma senza un aumento dell’occupazione: questo può accadere solo se chi lavora ha un aumento delle entrate. Escludendo quelli che hanno un posto fisso e uno stipendio fisso, è chiaro che l’aumento del Pil è dovuto in gran parte all’aumento dei profitti dei titolari di un’impresa, o degli azionisti, cioè degli apportatori di capitali. Un aumento del Pil, in questo caso, si risolve quindi in un aumento delle differenze tra ricchi e poveri, cioè in aumento dell’ingiustizia sociale.
Se questi sono i possibili sviluppi, come si può pensare di sperare in un autunno che non sia caldo da un punto di vista sociale? Anzi, se si tiene al bene comune, viene quasi da sperarlo, se le proteste sociali potessero indurre a qualche cambiamento. Ma se si tiene davvero al bene comune, si ha voglia di rimboccarsi le mani e costruirlo davvero, anziché perdere tempo a distruggere prima della necessaria ricostruzione. La distruzione è una fatica improba, che trova sempre avversari irriducibili, cioè tutti quelli che, godendo di benefici dall’attuale situazione, sono contrari a ogni cambiamento. Occorre invece impegnarsi a costruire da zero, dal piccolo mondo che abbiamo intorno e nel quale abbiamo davvero la possibilità di incidere in modo significativo con la nostra presenza e con le nostre piccole opere. Come diceva MacIntyre trentatre anni fa, occorre ricostruire nuove forme di comunità, entro le quali la civiltà e la morale possano essere conservate.
Quanto al prossimo autunno, le avvisaglie non promettono nulla di buono, viste le recenti decisioni del Consiglio dei Ministri, che ha prorogato di un anno il blocco degli stipendi e degli scatti di carriera di circa tre milioni di dipendenti pubblici. Si tratta dei lavoratori di scuola, difesa e sanità. Si calcola che il blocco comporti una mancanza di circa 200 euro mensili in busta paga. E questo accade nel pieno di una crisi, mentre nel biennio 2011-2012 le buste paga sono state ridotte dell’1,3% con un risparmio di 6,6 miliardi per le casse statali. E nello stesso periodo, grazie anche al turn over, il numero dei dipendenti pubblici si è ridotto del 3,5%: 120 mila lavoratori in meno. Autunno caldo?
Ancora una notizia locale: dopo aver tergiversato per anni riguardo al problema dei rifiuti per Roma in previsione della chiusura della mega discarica di Malagrotta, le autorità hanno improvvisamente deciso di aprire una nuova discarica in zona Falcognana, poco fuori il Grande Raccordo Anulare, nei pressi del Santuario del Divino Amore, il più amato dai romani. Tale decisione ha provocato l’immediata reazione della popolazione, che è arrivata a bloccare la via Ardeatina e ha pure tentato il blocco del GRA. La protesta sta montando, anche perché la chiusura di Malagrotta, dopo l’ennesimo rinvio, è fissata per il 30 settembre.
Autunno caldo? Vogliamo fare una previsione? Sembra una previsione facile, e se le istituzioni si mettono costantemente contro la popolazione e contro il bene comune non può venirne niente di buono. Occorre prepararsi. Osservava sempre MacIntyre, nel 1980, facendo il paragone tra l’epoca nostra e quella dei barbari dopo la caduta della civiltà dell’Impero romano: “E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta però i barbari non aspettano di là dalle frontiere: ci hanno già governato per parecchio tempo”. E ripeteva nel 2006: “Quando scrissi quella frase conclusiva nel 1980, era mia intenzione di suggerire che anche la nostra epoca è un tempo di attesa di nuove e inattese possibilità di rinnovamento. Allo stesso tempo, è un periodo di resistenza prudente e coraggiosa, giusta e temperante nella misura del possibile, nei confronti dell’ordine sociale, economico e politico dominante nella modernità avanzata. Questa era la situazione ventisei anni fa, e tale ancora oggi rimane” (Dopo la virtù, Alasdair MacIntyre).