“Un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali”. C’è un che di profetico e di storico insieme nel messaggio del Meeting di Rimini di quest’anno: la più grande manifestazione popolare europea che unisca comunità attive nelle opere e nella preghiera e quindi nella speranza. Comunità di persone. “L’emergenza uomo”, cardine del pensiero tutto rivolto a una antropologia positiva della persona, è l’altro polo di riferimento della straordinaria manifestazione di popolo che incontra le istituzioni e lo Stato in un dialogo che dura ormai da molti anni e che costituisce da questo punto di vista una grande manifestazione di istituzionalizzazione della democrazia, ossia di legame tra cittadini e loro rappresentanti. Fatto ormai unico in Italia, vista la decadenza dei partiti come comunità di destino e il triste emergere dei partiti personali e dinastici.



Il Premier Enrico Letta si è inserito con scioltezza e pensosità insieme in questo contesto di riferimento. Innanzitutto perché – ecco il dato storico – ha ripreso il messaggio dei padri dell’Europa unita: ossia dei fondatori, dopo la Seconda guerra mondiale, di un continente politico e non solo economico che doveva superare tutte le conseguenze drammatiche del conflitto e quindi non poteva che integrare in sé anche la Russia. La Russia cristiana, in una sorta di ponte interreligioso di grande prospettiva e di grande difficoltà insieme, ma inevitabile per riaffermare le radici cristiane dell’Europa e il significato storicamente positivo di una Russia politica ed economica che solo in questo modo riacquisterebbe, con l’Europa, il suo ruolo mondiale. L’Europa potrà acquisire così l’autorevolezza che serve a essa e al mondo per reagire positivamente a quella sorta di nichilismo internazionale che maschera il delirio di potenza che ha investito la scena mondiale da un decennio a questa parte. Le tragedie dell’Africa del Nord sono lì a dimostralo.



Ma Letta ha detto bene: lottare per l’Europa dei popoli. E popolo in questa accezione culturale e religiosa insieme non vuol dire populismo, ma tutto il contrario. Anche in economia. Come si istituzionalizza la politica con la partecipazione cosciente, così si istituzionalizza l’economia con la cittadinanza economica; e cittadinanza vuol dire lavoro attraverso i doveri e i diritti, la libertà di intrapresa e la speranza nell’uomo che fonda il primato della società rispetto allo Stato. Europa dei popoli e quindi Europa dove tutto coopera al bene comune, in un superiore equilibrio tipico della giustizia distributiva e commutativa. E quindi la finanza, come ha affermato Letta, deve tornare a essere ciò che era prima della sregolazione anarchica e brutale degli anni novanta del Novecento: motore dello sviluppo e non invece strage degli innocenti.



Il prossimo semestre europeo, che sarà italiano, deve essere – e Letta lo ha giustamente ricordato – il semestre dell’inizio della sistemazione antropologicamente positiva della questione finanziaria e bancaria: questo deve voler dire unione bancaria. E questo deve voler dire porre al centro non più l’austerità ma lo sviluppo, che è cosa diversa dalla crescita economica: è unità e non divisione tra cultura, crescita materiale e crescita spirituale, tra benessere e sicurezza della società naturale, ossia della famiglia. L’Europa non deve più invecchiare, ma crescere demograficamente. E per questo è essenziale la speranza.

Si comprende bene, molto bene, perché Letta invochi dunque il ruolo di coloro che portano la pace e non il conflitto nella politica, così come è oggi in Italia. Anche nella politica così come è oggi: sottolineo questo punto. La pacificazione che il governo ha iniziato in una nazione divisa e lacerata deve continuare: costi quel che costi. Ed è importante affermare, anche in queste ore, che sono forse le più drammatiche che la Repubblica abbia mai attraversato nella sua storia, anche in queste ore dove la discrasia tra democrazia come principio di maggioranza e democrazia come partecipazione solidale per il bene comune è massima, ebbene, anche in queste ore, è necessario affermare che l’unica speranza per l’Italia è riconoscere la necessità di unirsi e non di dividersi: costi quel che costi.

“L’emergenza uomo”, ossia il superamento del nichilismo della lotta per il potere (dove importante è impedire agli altri di vincere e non vincere insieme), deve far giungere l’Italia a una superiore consapevolezza: si esce dalla crisi in primo luogo con la cultura, l’esempio morale e la dedizione alla causa del bene comune. Tutti – sottolineo tutti – anche coloro che si sentono vittime delle peggiori ingiustizie, debbono perseguire questa causa. Letta ha reso manifesta la speranza che il popolo italiano – che esiste eccome! e Rimini lo dimostra – crede nella possibilità di questa rinascita morale.

Con il discorso di grande respiro di Napolitano, quello di Letta rimarrà come un passo importante nella risalita di questo Paese verso la conquista, la riconquista, di una consapevolezza morale e civile che tutti dobbiamo porre al centro per vincere il male del nostro tempo: la perdita della fede nella persona e nelle sue straordinarie potenzialità creatrici e suscitatrici – come ci insegnava Romano Guardini – di amore e di speranza. 

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