No news, good news. Le “omelie” delle banche centrali confermano l’antico adagio. Un anno fa Mario Draghi, da Londra, aveva dovuto lanciare un appello drammatico per evitare la frantumazione dell’euro. Intanto Ben Bernanke metteva a punto l’ultima versione del bazooka monetario, il Quantitative easing 3, per dare la spallata decisiva alla recessione e avviare la ripresa dell’immobiliare. Oggi, al contrario, i banchieri si possono limitare a confermare la rotta intrapresa. Bernanke rinuncia alla conferenza stampa, affidando ai numeri del Pil, in crescita ma non abbastanza per le attese della banca centrale, il compito di ribadire la strategia della Fed: prima o poi gli acquisti di titoli sul mercato cesseranno. Ma la crescita “modesta” (non “moderata”, come sostenuto nei precedenti meeting) impone prudenza. Insomma, tassi bassi e pedalare, come concordano 11 sui 12 membri del direttorio (solo l’irriducibile falchetta Elizabeth George continua a vedere l’inflazione dietro l’angolo). E il tapering, ovvero la riduzione degli acquisti sul mercato? Se ne parlerà a fine anno, non prima come pensava la maggior parte degli operatori.



Fa ancor meglio Draghi: 17 membri del direttorio della Bce su 17 concordano con la diagnosi e le strategie del banchiere italiano. Ovvero, i tassi di interesse dell’Eurozona dovranno restare “al livello attuale o più basso per un periodo prolungato di tempo”. L’economia, dopo la stabilizzazione, dovrebbe avviare la ripresa “a un passo molto lento” tra fine 2013 e inizio 2014. In sintesi:



1) Le attese espresse dal mercato monetario su una possibile stretta sui tassi “sono ingiustificate”.

2) La conferma della guidance “comprende tutti i tassi di interesse dell’Eurozona, compreso quello sui depositi”, attualmente a quota zero.

3) Allo stesso tempo, ha continuato Draghi, “ribadiamo che la liquidità resterà abbondante con rifinanziamento a tasso fisso e volume illimitato fino al luglio 2014”, come già annunciato dall’Eurotower, “fino a quando sarà necessario”. “L’andamento della congiuntura dell’Eurozona dovrà essere molto meglio di quanto prefigurato nel nostro scenario di base perché questa guidance venga modificata.



Che informazioni trarre da queste indicazioni di metà estate? Agosto si prospetta tranquillo come non accadeva ormai da molti anni. Una volta tanto, i gestori di portafogli potranno andare in spiaggia dimenticano per qualche ora i tablet a bordo piscina. Almeno quelli che, nelle ultime settimane, hanno messo a punto un mix giudizioso: meno obbligazioni, sia in dollari che Bund tedeschi, destinati a puntare verso l’alto se la ripresa provocherà richiesta di più crediti; più azioni, soprattutto quelle che hanno incorporato nei prezzi tutte le cattive notizie della congiuntura. Insomma, chi non avrà di meglio da fare, potrà sfruttare le giornate di borsa forte delle prossime tre settimane per prendere un po’ di profitto qua e là e mettersi da parte qualcosa per settembre.

Allora si tornerà a ballare, un po’ ovunque: eventuali dati macro positivi faranno infatti pensare al tapering, eventuali dati macro negativi toglieranno slancio alla forza delle borse. Intanto i buoni frutti li raccoglierà soprattutto chi aveva capito in anticipo che l’economia globale stava rovesciando ancora una volta le classifiche: perde ancora colpi la Borsa cinese, non va molto meglio all’India, risale il Brasile, ma solo dopo la discesa formidabile dei mesi scorsi. Al contrario, la vecchia e triste Europa è l’area più vivace. A luglio l’Eurostoxx ha guadagnato il 6% circa, sostenuto dalle performance di Madrid (+8% – Francoforte si è fermata a un +4%) .

Ma la vera sorpresa è l’Italia: Piazza Affari a luglio è salita dell’8,2%, in barba al braccio di ferro su Berlusconi, le tensioni su Mps e così via. A fronte delle polemiche, sempre più violente, che distinguono la vita politica italiana, nel Paese ha preso quota, senza clamore, un refolo, se non un vento, di fiducia.

Oggi i segnali sono robusti: a) dalla bilancia commerciale e da quella dei pagamenti emerge un saldo positivo, che lascia ben sperare anche sul fronte della finanza, sia pubblica che privata; b) al fenomeno contribuisce il calo dei consumi, ma l’export sale da dieci mesi senza soste, con un trend più costante e robusto dei concorrenti. Nella prima parte dell’anno le esportazioni italiane salgono dell’1,3%, contro il -3% di Francia e Germania; c) dalle trimestrali emerge che, a fronte delle cessioni eccellenti (vedi Loro Piana) esiste un trend opposto, di penetrazione produttiva, commerciale e strategica di grande rilievo: Brembo, De Longhi, Interpump, Prysmian, tanto per citare casi di aziende che crescono oltre frontiera a 360 gradi. d) l’indice di fiducia delle imprese è ai massimi dal novembre 2011, l’indicatore Ue colloca l’Italia addirittura al primo posto.

Ci avviamo a uscire dal tunnel? Assolutamente no. La ripresa, che a fine anno arriverà al +1,4%, porterà sollievo ai conti aziendali, ma non si tradurrà in nuova occupazione, almeno in Italia, perché chi cerca di cavalcare la ripresa internazionale ha bisogno di investire oltre frontiera, sia in mezzi che in uomini. Al contrario, il risanamento delle strutture produttive della corporate Italia è appena iniziata per le aziende di servizi e ancora di là da venire per l’area pubblica. Valga l’esempio Monte Paschi: nonostante un taglio dei costi pari al 21% da parte della gestione Profumo-Viola, la Commissione Ue chiede interventi drastici anche a costo di metter a repentaglio 5 mila posti di lavoro, del resto poco giustificati alla luce dell’attuale perimetro di business.

Insomma, non è l’ora di cavalcare l’onda della ripresa su una tavola da surf. Semmai, è il momento di alzare le vele per sfruttare il vento prima di eventuali tempeste. Guai a sprecare le occasioni di questa estate finalmente propizia. Ben venga l’iniezione di capitali nell’economia (95 miliardi) annunciata nel nuovo business plan triennale della Cdp. Ancor meglio se finalmente, anche a Ferragosto, arriveranno i pagamenti per le imprese. E perché non sfruttare il trend dei tassi bassi per lanciare obbligazioni convertibili in asset di Stato?

Difficile non concordare con la diagnosi di Francesco Giavazzi: per far ripartire per davvero l’economia italiana occorre immettere una cinquantina di miliardi nel motore e avviare un drastico taglio del cuneo fiscale sulla busta paga. Non è facile, ma la politica della Bce lo rende possibile.