La Germania ha risparmiano 40 miliardi e 900 milioni di euro in cinque anni per merito della crisi. La forte domanda di Bund, causata dall’instabilità finanziaria dei paesi deboli dell’Eurozona, ha portato dei forti benefici indiretti a Berlino. A rivelarlo non è qualche detrattore italiano della politica del Cancelliere Merkel, ma il prestigioso settimanale tedesco Der Spiegel, che riporta la cifra basandosi sul risparmio per le casse federali nel periodo 2010-2014 dovuto al calo dei rendimenti dei titoli di stato. Per Claudio Borghi Aquilini, docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica di Milano, «quella che ha colpito l’Europa è stata una crisi creata a tavolino tramite la precisa scelta politica di non considerare uguali i titoli di Stato dei vari Paesi aderenti alla moneta unica».
Professor Borghi, davvero Berlino è riuscita a trarre dei benefici economici dalla crisi?
La crisi non è avvenuta per una calamità naturale o per un’inondazione. Tutti tendiamo a dimenticare che la Grecia è stata mandata in default in conseguenza di una scelta politica europea. Nel momento stesso in cui si è deciso che non si sosteneva il debito dei singoli paesi europei la Grecia si è ritrovata fuori mercato e con necessità assoluta di dover dipendere dagli aiuti esterni con tutto ciò che ne è conseguito. In pratica, i governi e le istituzioni dell’Eurozona hanno stabilito che i titoli di Stato dell’area euro non erano tutti uguali, nonostante questa fosse una delle opzioni sul tavolo e non certo l’unica. Fino a quel momento la percezione di tutti gli operatori economici era infatti stata ben diversa.
Che cosa si aspettavano i mercati dalle istituzioni europee?
I paesi dell’Eurozona hanno tutti la stessa moneta e la stessa banca centrale. La garanzia implicita fornita dalla possibilità che la Bce possa monetizzare il debito degli Stati a rischio era considerata come l’ipotesi più probabile. Lo documenta il fatto che lo spread dei vari titoli di Stato era a zero. Nel momento stesso in cui si è deciso di rinnegare questa garanzia, sia pure implicita, comunicando al mondo che i titoli di Stato europei non sono tutti uguali, è subentrata la cosiddetta “flight to quality”.
Cioè che cosa è avvenuto?
La fuga degli investitori dai titoli di Stato italiani finiti subito nel mirino. Il debito pubblico portoghese e irlandese è più limitato in quanto si tratta di Stati di piccole dimensioni, e quindi è stato soprattutto il nostro Paese a finire nella bufera. La grande fuga ha riguardato soprattutto quanti hanno ceduto i Btp per acquistare i Bund tedeschi. A seguito della decisione politica di non equiparare i diversi titoli di Stato, l’Italia ha quindi dovuto pagare miliardi di interessi in più, e specularmente la Germania ha ottenuto come beneficio di pagare miliardi di euro in meno. Questi costi superiori per l’Italia sono quindi il bilancio di un’operazione costruita a tavolino. Non dobbiamo però stupirci del fatto che la Germania abbia saputo fare i suoi interessi ai danni nostri, quanto piuttosto domandarci perché chi rappresentava l’Italia dal punto di vista politico abbia accettato tutto ciò.
Il nostro governo avrebbe potuto prevedere gli sviluppi successivi?
Era evidente fin dall’inizio che la decisione politica di fare fallire la Grecia avrebbe portato a questi risultati. Eppure l’Italia non ha osato formulare non dico un veto, ma neanche un dissenso in merito al debito dei paesi più deboli.
Davvero ritiene che i titoli di Stato dei vari Paesi, come Btp e Bund, potessero essere equiparati?
Nel momento stesso in cui sono emersi dei dubbi sul debito greco, la reazione giusta avrebbe dovuto essere quella di tenere una riunione di emergenza degli Stati dell’Eurozona e di cambiare il mandato della Bce. Non sarebbe infatti bastato che l’Europa garantisse attraverso dei fondi, tanto è vero che abbiamo visto che i fondi salva-Stati non sono serviti a nulla. Essi possono infatti servire esclusivamente nel momento in cui sono utilizzati per mettere in sicurezza il debito di un singolo Stato. Non funzionano però nel momento stesso in cui il problema diventa generalizzato.
(Pietro Vernizzi)