«Se c’è qualcosa che manca nel bilancio dei 100 giorni del governo Letta si tratta del taglio alla spesa pubblica. Eppure per trovare i 2,4 miliardi necessari per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa basterebbe ridurre in minima parte gli 800 miliardi di uscite correnti o i 250 miliardi di agevolazioni fiscali». Ne è convinto Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore, secondo cui “l’accordo tra gentiluomini” sul taglio dell’Imu va mantenuto anche perché non si tratta di un intervento così gravoso per il bilancio dello Stato. In pratica, è pari allo 0,2% di spesa pubblica e agevolazioni. Da ieri il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, si è messo al lavoro per trovare non soltanto i soldi necessari per ridurre l’Imu, ma anche per evitare il rincaro dell’Iva e rifinanziare la Cig in deroga. In tutto si tratta di 4,4 miliardi di euro.



Gentili, dove ritiene che vadano trovati questi soldi?

Se c’è qualcosa che manca nel bilancio dei 100 giorni del governo Letta, si tratta dei tagli alle spese. Il tema della spending review è stato centrale nell’ultimo anno, soprattutto sotto il governo Monti, ma fatica a riemergere in questi mesi. Le agevolazioni fiscali in particolare comprendono 700 voci per un ammontare di 250 miliardi di euro, eppure è un terreno rimasto vergine e su cui si potrebbe agire. Trovare 4,4 miliardi su un monte spese di 800 miliardi di uscite annue e di 250 miliardi di sole agevolazioni fiscali potrebbe essere fatto tranquillamente, magari senza degli equilibrismi acrobatici che tolgano una tassa e ne aggiungano un’altra.



Per Oscar Giannino il taglio dell’Imu è una misura demagogica che andrebbe sostituita con una riduzione delle tasse sul lavoro. È d’accordo con lui?

L’Italia primeggia in Europa e nel mondo per quanto riguarda il cuneo fiscale. Si tratta di un fattore che frena la nostra competitività in modo importante. Tagliare la tassazione sul lavoro sarebbe quindi la strada maestra. L’abolizione dell’Imu sulla prima casa è stata però centrale rispetto all’accordo politico che ha portato al governo di larghe intese. La principale richiesta del Pdl riguardava appunto l’Imposta municipale unica. Sul piano dei principi sarebbe più importante ridurre il cuneo fiscale, per alzare la competitività delle nostre imprese e rimettere soldi sonanti nella busta paga dei lavoratori, e alzare nello stesso tempo il livello dei consumi e della domanda.



Davvero come afferma il centrodestra tagliare l’Imu potrebbe rilanciare l’economia?

Ritengo che gli effetti di un’abolizione dell’Imu sulla prima casa non vadano sottovalutati. L’Italia è un Paese in cui l’80% dei cittadini è proprietario di case, e che ha nell’edilizia uno dei volani storici dell’economia. L’aggravio dell’Imu nel 2012 si è fatto dunque sentire anche in termini di riduzione del mercato immobiliare, delle compravendite e del patrimonio immobiliare, determinando di fatto una crisi dell’edilizia. La questione fondamentale è comunque quella che accennavo prima. Il dossier sul tavolo del ministro Saccomanni riguarda 4,4 miliardi su base annua, di cui 2,4 miliardi per cancellare in modo definitivo la prima rata dell’Imu. Su un monte di spesa pubblica di 800 miliardi di euro si tratta di una cifra piuttosto contenuta.

 

Lei su quali capitoli interverrebbe per tagliare la spesa pubblica?

Interverrei secondo le linee che sono note da tempo e che andavano attuate molti mesi fa, introducendo una spending review intelligente. Il contrario di quanto si fa di solito quando si praticano tagli lineari sui soldi necessari per la manutenzione o l’ordinaria amministrazione come la benzina per le forze dell’ordine che devono assicurare la nostra sicurezza.

 

E per quanto riguarda i 250 miliardi di agevolazioni fiscali?

Nel monte delle agevolazioni fiscali ci sono più di 100 miliardi che riguardano il sostegno alle persone e in generale il welfare: ritengo che questi ultimi non vadano toccati. Ma ci sono anche altre voci, per un ammontare di almeno 150 miliardi, che riguardano incentivi alle imprese. Il paradosso è che da tempo Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, sostiene che i sussidi alle aziende andrebbero azzerati per avere in cambio meno tasse sulle imprese e sul lavoro, ma i governi che si sono succeduti non lo hanno ancora ascoltato.

 

(Pietro Vernizzi)