Di crisi ne hanno parlato un po’ tutti: professori, politici, giornalisti, persino attori e cantanti. Ma forse nessuno ha mai chiesto quale sia il punto di vista dei consumatori, o meglio di un professional consumer, come Mauro Artibani, autore del libro “La domanda comanda: verso il capitalismo dei consumatori, ben oltre la crisi”, edito da Aliberti.
Ritiene si possa dare una definizione sintetica della crisi?
Ci provo. La crisi è quella del reddito, erogato dai produttori a chi lavora per produrre merci, insufficiente a smaltire quanto prodotto, che ha bloccato il meccanismo dello scambio domanda/offerta.
Lei allude a una sindrome da miopia?
No. Alludo all’esistenza di mercati asincroni che vanno a braccetto con quei vecchi paradigmi che ancora governano l’economia.
Cerchiamo di intenderci: il mercato del lavoro ha ridotto stipendi e salari?
Sì. Le migrazioni dal sud al nord del mondo hanno affollato di domanda il mercato del lavoro; l’automazione dei processi produttivi e i fenomeni di delocalizzazione hanno ridotto l’offerta di lavoro; il basso costo del lavoro nelle economie emergenti ha fatto il resto: il mercato si mostra efficiente, riducendo stipendi e salari.
Il mercato delle merci ha ridotto i prezzi?
No, anzi. Nonostante si sia ridotta la capacità di spesa che ha ridotto gli acquisti, gonfiando il mercato di merci invendute, dentro questo mercato non si sono manifestati fenomeni di deflazione in grado di ripristinare quella capacità.
Si sono alterati così gli equilibri del meccanismo economico…
Già, viene alterato il rapporto di scambio offerta/domanda; non smaltite, quelle merci in eccesso perdono valore, bruciano ricchezza.
Per un momento però quell’equilibrio sembrava sul punto di essere ripristinato.
Sì, mediante le azioni condotte da politiche reflattive che hanno artificialmente sostenuto la domanda per dar sostegno ai prezzi ripristinando così il valore delle merci garantendo utili alle imprese.
Si è comunque prodotta della ricchezza.
Sì, le politiche monetarie hanno abbassato il costo del denaro da prendere a prestito, la spesa pubblica ha fatto la sua parte; pure il “rifinanziamento” dei mutui fondiari ha fornito reddito da spendere per acquistare e smaltire l’invenduto: politiche reflattive alla bisogna, insomma, per surrogare la capacità di spesa attraverso l’assunzione di debito, quello privato e quello pubblico. Si è prodotta, insomma, ricchezza con il debito.
Si può andare oltre questo “misfatto”?
Sì, perché se i produttori hanno dettato la regola al mercato del lavoro, quando salta il tappo il debito si fa inattingibile e l’offerta invendibile, subiscono la regola – prima negata – dell’altro mercato, quello delle merci: hanno più bisogno loro di vendere che i consumatori di acquistare. Muta lo statuto delle convenienze; è tempo di ridefinire il ruolo degli operatori della domanda e dell’offerta.
In che modo?
Ai consumatori tocca il compito di dover acquistare, ben oltre il bisogno, per trasformare il valore delle merci in ricchezza; di consumare l’acquistato per far nuovamente produrre dando continuità al ciclo produttivo e sostanza alla crescita economica. Ai produttori tocca fornire merci ancorché l’adeguato supporto alla capacità di spesa di chi acquista quelle merci.
C’è chi dovrà pagare il conto per avviare una crescita non drogata…
Facciamoli due conti: per i consumatori tutti clienti, clienti di tutto – tutto è stato reso merce, tutto deve essere consumato per far crescere l’economia – è necessario disporre di reddito adeguato alla bisogna per sostenere tal obbligo. Ai produttori tocca oliare il meccanismo che smaltisce il prodotto sottraendo rischio all’impresa. Ecco, appunto, sottrarre rischio all’impresa, un bel guadagno. Il costo? Lo paga il profitto: vanificato il rischio occorre rimettere in circolo quel reddito che lo retribuisce.
Cioè?
Quel remunero, redistribuito per dare sostegno alla domanda, tiene attiva la funzione consumo che rende efficiente la gestione dei fattori della produzione garanti dell’utile d’impresa; fa scendere il prezzo delle merce, rende competitivo il prodotto: il rendimento appezzabile! Come vede, cambiando la regola degli oneri e la gerarchia delle relazioni produttive che genera la prosperità economica si può fare meglio.
Il cambiamento che lei auspica con il suo libro non è da poco.
Mettiamola così: un nuovo esercizio economico per un mondo nuovo; nuovo pure l’esercizio del comando. I produttori da comandanti a dipendenti; l’industria finanziaria, ridimensionata la funzione creditizia, torna d’acchito all’intermediazione che ben gli sta; alla funzione consumo, che occupa il centro della scena produttiva, tocca governare la crescita economica. Occorre aggiornare la ragione sociale del capitalismo: prima dei produttori, poi dei creditori, oggi, che la domanda comanda, dei consumatori. Cambiando l’ordine dei fattori produttivi il Prodotto interno lordo cambia, eccome: può tornare a salire.
(Daniela Bianchi)