Wolfgang Schäuble, ministro dell’Economia del governo Merkel, ha scritto un articolo a densa caratura retorica, sul prestigioso The Guardian (venerdì 19 luglio) e il filosofo tedesco Jürgen Habermas – ultimo esponente storico della Scuola di Francoforte e teorico della “ragion comunicativa”, nonché partner in un dialogo franco e produttivo con il teologo Joseph Ratzinger, divenuto Papa – ha replicato da par suo, sulle colonne del settimanale Der Spiegel il 16 agosto, alla perorazione della politica governativa fatta dal ministro: abbiamo materia per riflettere sulla politica della Germania, sia sul versante europeo, sia sul versante interno.



Intanto, vediamo lo stile argomentativo del ministro tedesco. Jacques Lacan diceva che lo stile è l’uomo, dunque valutare quest’ultimo implica cogliere più profondamente qualche tratto di questo fedele apologeta della Germania luteran-governativo-finanziaria. Primo punto: linguaggio inibitorio spinto al massimo. Come dire: la teoria del freno a mano tirato. La vita dei popoli europei, secondo il ministro delle finanze tedesco, deve essere governata dai “freni”, brakes, e questo già la dice lunga. Ma perché? Ecco l’algoritmo tecnocratico-governativo: perché il vero problema è la finanza pubblica (“consolidation of public budgets”), i mitici conti pubblici, la regola aurea di Maastricht. Fuori da questa cornice, c’è soltanto il caos.



Secondo punto: impostato così, l’argomento risulta vincente. Infatti, da questa armonia prestabilita, con un elevato tasso di pianificazione e controllo (eredità bismarckiana), uscirà fuori, come l’Araba Fenice, una scia di modernizzazione, riforme e nuove strategie di fuoriuscita dalla crisi, rispetto alle quali – ma non è il caso di allarmarsi… – avremo la Germania, non a dominare, certo che no, ma a “contrastare la crisi”, anzi questo è proprio il ruolo della Germania, quello di contrastare la crisi. È questo il modo saggio ed equilibrato, ovviamente forgiato da mano rigorosamente tedesca, per ristabilire il legame positivo tra “rischio” e “opportunità”. Dunque, dopo il lessico inibitorio – freno a mano: non si può fare -, giungiamo alla dimensione “generativa”: ci pensiamo noi, voi mettetevi comodi.



Terzo punto: ma… questo non vuol dire Europa a guida tedesca. Non è questo il punto – spiega il creativo Schäuble -, il fatto è che l’Europa non ce la fa a fare da leader a se stessa in maniera unitaria e compatta. E allora arriva il Settimo Cavalleggeri, anzi il Quarto Reich, dipinto, come nelle migliori e più consolidate strategie comunicative e propagandistiche, come la sola salvezza nello “stato di eccezione” di schmittiana origine e memoria.

Quarto punto: solide politiche fiscali, conti pubblici e poi, via a seguire, riforme adeguate al tenore della crisi serviranno eccome a rilanciare l’Europa. Come? Non è dato sapere. Ma allora esisterà un’Unione europea a base politica unitaria, con l’euro non a fare il Dracula della situazione, ma a porsi come fondamento di fiducia – perché a questo servono le monete – nel contesto delle fragili società europee e dei popoli? Non è dato sapere. Ma la Germania c’è e lavora per voi: non disturbate il manovratore, dunque.

Habermas ci va giù duro sul settimanale  Der Spiegel, massacrando la politica della Merkel e le argomentazioni del povero Schäuble: la Merkel naviga a vista; la Germania sta divorando l’Europa e gioca con le crisi dei conti altrui per ottenere un plusvalore politico, altrimenti impensabile; il no della Merkel all’unione bancaria è una strategia inibitoria e perdente a carico di un’élite tedesca – e questo appare il colpo più duro del filosofo al suo Paese – che non ha più niente da dire e rimane attaccata alla cadrega del potere con la stessa energia creativa di un morto che cammina.

Ne vien fuori un panorama della Germania sconfortante. Un Paese incapace di puntare in alto e ormai segnato dalla fine di una stagione politica, quella merkeliana, ovvero post-kohliana e – aggiungiamo pure – post-brandtiana, e vedremo perché. Il sogno europeo è finito e la politica tedesca vale le contraddizioni di una Germania “troppo debole per mettere il continente sotto il suo controllo, ma troppo forte per allinearsi”. Troppo e troppo poco.

Ma questa storia ha dietro di sé un processo di critica radicale dell’idea di fondo di un’Europa tanto impolitica quanto iper-bismarckiana e votata alla tutela delle élites al comando, da Maastricht in poi. È il socialdemocratico Helmuth Schmidt, ex Cancelliere tedesco, a richiamarlo, in una lettera aperta pubblicata su Die Zeit l’8 novembre 1996 e indirizzata ad Hans Tietmeyer , allora Presidente della Bundesbank, e ostile all’introduzione dell’euro. Un avversario ostico di Kohl, che sosteneva di giocarsi la sua esistenza politica proprio nella partita dell’introduzione della moneta unica europea. Da notare che gli “scopi” del Presidente della Bundesbank apparivano “positivamente pro-europei”, ma di fatto “i suoi effetti” risultavano “negativi”.

Traiamo questo documento dall’ebook di Giulio Sapelli, “Chi comanda in Italia? Il potere tra innovazione e tradizione” (goWare, 2012: Appendice: pp. 55-61). Una Germania incapace di guardare avanti, sia in misura anti-euro, sia in chiave euro politico. E Kohl, che era la politica in Germania e in Europa, non a caso ha criticato a fondo, insieme a Brandt, quest’egemonia teutonica su base luteran-finanziaria e fortemente bismarckiana-regolatrice.

Opposte tendenze – anti-euro -, medesime direttrici di marcia: qualcosa vorrà dire, no?