Le borse crollano, lo spread risale, Mediaset perde il 6,2% (circa 150 milioni). Nel dubbio che il messaggio non fosse recepito, i mercati ci sono andati già pesante. Sarà sufficiente a indurre Berlusconi e i falchi del Pdl a più miti consigli e ad abbandonare ogni velleità sulla rimozione della fiducia al governo Letta? Vedremo. Nel frattempo abbiamo chiesto a Mario Deaglio, docente di Economia internazionale presso l’Università di Torino, che scenari si prefigurano.
E’ forse la possibilità del ritorno di Berlusconi? o l’instabilità politica? le elezioni anticipate? la fine dell’attuale governo? Cosa infastidisce esattamente i mercati?
Non credo che i mercati facciano analisi particolarmente raffinate. Diciamo che temono l’insieme di questi fattori. Temono, cioè, il rischio-Italia, composto da tanti piccoli rischi. Che si tratti di Berlusconi, dell’instabilità in quanto tale, piuttosto che del bilancio che non rispetta il limite del 3% del rapporto deficit/Pil, questo dipende dal tipo di osservatore che effettua l’analisi e dalla sua preparazione.
Il clima rischia di esasperarsi come sul finire del 2011, quando il default era considerato un’eventualità estremamente realistica?
Questa è una delle opzioni. Tuttavia, rispetto ad allora, siamo distanti da un simile scenario: i nostri fondamentali sono migliorati. Abbiamo, soprattutto, fatto le riforme. Non credo che ci stiamo indirizzando verso catastrofi finanziarie imminenti. Tanto più che i contraccolpi sull’economia reale, se dovevano verificarsi, si sono ormai già verificati da tempo. In ogni caso, l’andamento dell’asta dei titoli di oggi (dobbiamo vedere in quanti accoreranno) ci permetterà di farci un’idea un po’ più precisa.
Nella peggiore delle ipotesi cosa potrebbe succedere?
Difficile prevedere il peggio. Anche perché l’orizzonte internazionale è molto perturbato. Valuto con estrema gravità la situazione politica internazionale. I venti di guerra del Mediterraneo stanno coinvolgendo anzitutto Stati uniti e Russia. Da qui potrebbe giungere uno sconvolgimento tale da alterare i nostri tranquilli ragionamenti. Anzitutto, in termini di una profonda instabilità.
Ogni volta che la politica agisce in maniera sgradita ai mercati, questi si vendicano. Non crede che si ponga un problema per la democrazia, e che tali processi economici andrebbero governati?
Questi processi, finché restiamo in una situazione strutturalmente debitoria, non sono governabili. Stiamo spendendo più di quello che ci possiamo permettere. E’ inutile che continuiamo a gridare: “Democrazia!”. Piuttosto, mettiamo a posto la nostra spesa e, quando non avremo più bisogno di miliardi di euro all’anno per ripagare gli interessi sul debito, allora potremo operare come riterremo opportuno.
Il premio Nobel Nouriel Roubini, dalle pagine di Repubblica, ha affermato che con l’Europa, c’era una sorta di patto implicito in base al quale avremmo dovuto mantenere i nervi saldi almeno fino alle elezioni tedesche; l’attacco finanziario sarebbe il frutto della trasgressione di questo patto.
Mi pare una ricostruzione piuttosto intellettuale. Spesso la realtà è molto più semplice.
Sempre Roubini sostiene che la stabilità ci potrebbe consentire, sul breve termine, di chiedere una parziale ristrutturazione del debito.
Quello di cui noi abbiamo bisogno, e che possiamo chiedere legittimamente all’Europa laddove sussisteranno le condizioni, è di riscadenzare gli obiettivi di pareggio di bilancio, come è stato concesso a Francia e Spagna.
Quando siamo rientrati dalla procedura di infrazione per lo sforamento del tetto del 3% al rapporto deficit/Pil pensavamo che l’Europa ci avrebbe concesso qualche margine di manovra in più. Ci è stato risposto picche.
Per forza: siamo rientrati dalla procedura in maniera fortunosa, senza che la nostra economia uscisse dalla crisi. Ci è stato chiesto, quindi, di dimostrare di essere in grado di restare strutturalmente entro i parametri di Maastricht, di avere un governo stabile e di continuare sulla strada delle riforme e che, solo in seguito, ci sarebbe stato concesso più fiato per ridurre il debito. E’ evidente che ancora non abbiamo compreso il modo europeo di ragionare.
(Paolo Nessi)