Che fine ha fatto l’Esm? Il Meccanismo Europeo di Stabilità ha compiuto nel luglio scorso il primo anno di vita. Ma non di attività perché il fondo, nato per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà tramite l’acquisto di titoli sul mercato primario non è mai entrato in attività. I potenziali clienti dell’Esm, Italia e Spagna, si sono ben guardati dal bussare alla sede in Lussemburgo, scoraggiati dalle condizioni che, secondo quanto recita il regolamento, “possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” (art. 12). Una camicia di forza di cui qualsiasi governo, o Parlamento, fa a meno ben volentieri. Ma le teste d’uovo dell’Esm, forse per scacciare la noia, non sono stati con le mani in mano. Anzi: in silenzio, i tecnici comunitari (preponderante la partecipazione tedesca) hanno avviato lo studio di possibili interventi per disinnescare le mine più pericolose sulla strada della Ue. A partire dalla madre di tutti i problemi, la Grecia che, ha sbottato Angela Merkel a meno di un mese dalle elezioni tedesche, “nell’euro non ci sarebbe dovuta entrare”. E se l’ha fatto, considerazione esplicita, la colpa è dell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder (tornato in pista per evitare il tracollo della Spd al voto dell 22 settembre).
Oggi, forse per fini elettorali, spunta lo studio che l’Ems, commissionato in gran segreto, ha predisposto sulla Grecia. Una ricerca per certi versi rivoluzionaria, che va al di là del caso Atene. La Grecia, come è noto, deve aggredire con ogni mezzo il debito pubblico che grava sulle spalle del Paese. Tra le manovre, più volte solleciate, annunciate ma mai realizzate, spiccano le vendite di Stato, a partire dal patrimonio immobiliare in mano pubblica. L’operazione, finora, è risultata più astratta di quella sul sesso degli angeli. Come si fa a procedere ad un’ordinata dismissione di un patrimonio di cui si ignora la stessa consistenza? La Grecia non ha, né mai ha avuto, un catasto. Niente paura, recita lo studio Ems, ci pensiamo noi. Secondo il progetto, nascerà una holding per guidare il patrimonio immobiliare pubblico in “maniera del tutto indipendente da interferenze del governo greco”. I quattrini raccolti dall vendite serviranno a pagare parte del debito pubblico o saranno reinvestiti per migliorie del patrimonio, oggi così malandati da scoraggiare eventuali compratori.
Sovranità nazionale addio, si potrebbe concludere. Ma, obiettano gli autori del piano, il diritto di proprietà resterà in mano greca. E sarà il governo di Atene a decidere quando dare il via alle vendite. Obiezioni valide sul piano formale. Ma inesistenti, su quello sostanziale: quando un debitore deve vendere un bene in garanzia per far fronte alle richieste dei creditori non ha molte alternative a disposizione.
Ma bando agli scrupoli. “L’obiettivo del nostro lavoro – è la replica – è di massimizzare la resa del portafoglio in mano allo Stato”. Il vantaggio, insomma, sarà sia dei creditori che del debitore, che finora ha brillato solo per la sua impotenza. La vendita dei beni in mano allo Stato è, del resto, già nei programmi di governo: 80mila edifici, siti di interesse turistico, intere isole. Ma fiora, tra veti ambientali, ricorsi alle magistrature amministrative, resistenze della burocrazia e tutela del patrimonio archeologico. Di recente, un’offerta sull’isola di Rodi è andata in fumo dopo che l’agezia delle privatizzazioni ha scoperto che sul sito offerto, spiaggia compresa, era stato illegamente costruito un albergo a quattro stelle.
È presto per capire come andrà a finire la prima iniziativa dell’Ems. Non è certo facile dirimere la questione tra l’orgoglio nazionale, legittimo, dei greci che, tra l’altro, ormai a stragrande maggioranza la pensano come la signora Merkel (perché abbiamo lasciato la dracma?) e gli altrettano legittimi interessi dei creditori. Se vogliamo costituire una comunità alla pari, è il ragionamento, occorre che tutti si assumano le proprie responsabilità. E se in un Paese si stenta a venire a capo di resistenze e deboleze congenite, ci vuole un aiuto da parte degli alleati.
È evidente, però, che ancora una volta il test della Grecia ci tocca da vicino, come è già accaduto allo scoppio della crisi dell’euro, erroneamente intesa all’inizio come una crisi locale. Oggi, come allora, quel che si decide per Atene vale pure per Roma: il catasto italiano, che pure esiste (grazie alla burocrazia dello Stato giolittiano…) richiede almeno 5 anni di lavoro per tornare all’onore del mondo; le spiagge dei nostri litorali sono amministrate con criteri medievali sulla base dei diktat delle lobbies locali; nessun governo è stato ancora in grado di privatizzare una sola caserma; il cambio di destinazione d’uso di un edificio pubblico è pratica più complicata di un accordo Onu. E qualsiasi tentativo di vendita fa fiorire una foresta di ricorsi.
L’indomani della legittima soddisfazione del governo Letta per aver suprato il test dell’Imu è il caso di ricordare che gli esami, quelli veri, non solo non finiscono mai. Ma non sono nemmeno cominciati.