Più che un operazione apprezzabile dai contribuenti, l’abolizione (parziale) dell’Imu si presenta come una mossa tattica ad esclusivo appannaggio di chi è riuscito a intestarsene il merito. Quali sono, infatti, i reali effetti economici del provvedimento? Lo abbiamo chiesto a Gilberto Muraro, professore di Scienza delle finanze nell’Università di Padova.



Cosa pensa decreto del governo?

Io sono sempre stato uno strenuo difensore dell’Imu e della Tares. Si era raggiunto, infatti, una struttura della finanza locale soddisfacente. Restava ancora da calibrare questo insieme di strumenti (Irpef, Imu e Tares), individuando, cioè, le aliquote giuste e  riformando il catasto che, attualmente, fornisce imponibili non affidabili. Ebbene, il provvedimento ci discosta dalla traiettoria delineata dal resto del mondo.



Nel resto del mondo non c’è una tassazione così alta.

Si, ma nel resto del mondo i cittadini pagano meno perché pagano tutti. Solo vincendo l’evasione si potranno ridurre le tasse. Il discorso è valido sia a livello nazionale che locale. In ogni caso, un altro problema determinato dell’eliminazione dell’imposta consiste nel vuoto che verrà a determinarsi nella finanza locale. Un vuoto che, in particolare, riguarderà il rapporto tra governo locale e cittadini.

Cosa intende?

Con l’Imu i cittadini erano costretti a farsi bene i propri calcoli. Qualunque spesa locale in più avrebbe comportato un esborso maggiore da parte dei contribuenti. Oggi, invece, si determina dunque un federalismo claudicante, in cui viene meno la correlazione tra elettore (che determina con il voto politico la spesa) e il contribuente che la finanza. E’ proprio sull’identità tra elettore (beneficiario della spesa pubblica) e contribuente che si regge una sana democrazia locale. La situazione è in parte resa parzialmente meno grave dall’introduzione della Service Tax.



Di fatto un’Imu con un altro nome.

Indubbiamente è una di quelle cose che, all’estero, ci rende ridicoli. Abbiamo un gap di credibilità internazionale che continuiamo ad aggravare.

Che differenze ci saranno, per i contribuenti, rispetto all’Imu?

Rispetto all’Imu, nel caso di casa locata, la Service Tax sarà pagata dall’inquilino. Ora, si dà il caso che normalmente, sul lungo periodo, il mercato sistema le cose. Tuttavia, considerando la forte inerzia del mercato immobiliare, avremo un forte impatto distributivo. Ci saranno molti fabbricati che se prima davano origine ad un’imposta pagata dal proprietario, oggi scaricheranno un’imposta analoga sull’inquilino. Dal punto di vista dell’equità non sarà un bel risultato. Inoltre, l’Imu aveva al suo interno una progressività intrinseca. Scaturiva, cioè, dal principio del beneficio: se la spesa pubblica locale va in buona parte a vantaggio delle abitazioni, è giusto che i proprietari paghino. Sappiamo, inoltre, che i patrimoni sono più concentrati rispetto ai redditi. Chi ha un reddito doppio ha un patrimonio più che doppio. Un’imposta proporzionale sul patrimonio come l’Imu diventava quindi un’imposta progressiva sul reddito. Si è fatto un favore, in sostanza, ai più ricchi. Tutto ciò si potrà scongiurare se la Service Tax sarà applicata in base rendita catastale.

Come valuta il fatto che l’Imu sulle seconde case e sulle attività produttive rimane?

Se la seconda casa, in Italia, viene penalizzata da un’Imu elevata, gli italiani, in futuro, se la faranno all’estero. Per quanto riguarda le attività produttive, si tratta anche in tal caso di un problema di calibrazione.

L’aumento dell’Iva sarà necessario?

Se ci sarà la ripresina, può darsi che ci sarà un po’ più di gettito, e il vuoto dell’Imu potrebbe essere colmato. Resta il costo di opportunità, il valore della alternative sacrificate. Ammesso e non concesso che si determinasse questo incremento naturale, si sarebbe potuto utilizzare per investimenti produttivi ben più utili dell’abolizione dell’Imu. 

 

(Paolo Nessi)