Se oggi Mario Draghi scrivesse una nuova lettera al governo italiano, che cosa direbbe? Sì, una seconda lettera, perché due anni fa (proprio il 5 agosto) c’era la sua firma insieme a quella di Jean-Claude Trichet, l’allora presidente della Bce. Anzi, secondo molte versioni autorevoli (Giulio Tremonti, per esempio) le proposte concrete erano uscite dalla penna dell’allora governatore della Banca d’Italia, il quale aveva convinto Silvio Berlusconi ad anticipare di un anno il pareggio del bilancio. Dietrologie a parte, oggi le condizioni per un’altra missiva ci sono, a cominciare da quelle politiche. Dopo la condanna a Berlusconi, nessuno può ragionevolmente prevedere se il governo Letta resterà in vita e per quanto. E una sua caduta farebbe ripartire la danza macabra dei mercati finanziari. Dunque, proviamo a simulare che cosa scriverebbe oggi l’Eurotower, seguendo lo stesso schema della lettera precedente:
Caro Primo Ministro (sic!), il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani, anche alla luce delle nuove tensioni politiche e del rischio che si apra un’altra fase di instabilità e ingovernabilità, non dissimile a quella che due anni fa ci indusse a indirizzare una lettera all’allora capo del governo Silvio Berlusconi. Il Consiglio direttivo ritiene che da allora le autorità italiane abbiano compiuto grandi sforzi per ristabilire la fiducia degli investitori, anche se i risultati raggiunti non sono ancora sufficienti né definitivi, come dimostra lo spread con i Bund tedeschi, tutt’ora superiore al livello precedente la crisi della primavera 2011. Per questo, una crisi di governo ed elezioni anticipate rischiano di far vacillare di nuovo quella fiducia.
Apprezziamo le iniziative volte a mettere sotto controllo il bilancio pubblico che ha consentito di uscire dalla procedura di infrazione. Tuttavia, il debito pubblico rispetto al prodotto lordo continua a crescere mentre avrebbe dovuto iniziare il cammino verso il rientro. A giudizio del Consiglio, le cause principali per questa mancata inversione nella curva del debito, sono due: la recessione produttiva e il continuo aumento della spesa pubblica.
L’aggiustamento delle finanze è stato realizzato con un forte incremento della pressione fiscale e ciò ha ridotto ancor più la domanda interna, mentre non sono state aggredite le componenti strutturali che nel corso degli anni hanno provocato un aumento delle uscite statali sempre superiore all’aumento delle entrate. È questo circolo vizioso che l’Italia deve spezzare per avviare un risanamento durevole nel tempo e aumentare la credibilità dei mercati.
Il governo italiano, dunque, con la prossima legge di bilancio dovrebbe prevedere una significativa riduzione della spesa pubblica corrente al netto degli interessi, misurata in percentuale del prodotto lordo annuo, delle stesse dimensioni realizzate dai paesi che hanno ottenuto il risanamento strutturale delle finanze pubbliche, come la Germania, la Finlandia, il Belgio, per i paesi della zona euro, o la Svezia. Si tratta di tre-quattro punti di Pil l’anno per almeno un triennio, applicando poi la regola del pareggio non alla spesa storica, ma a quella effettiva annua. Per essere chiari, la riduzione deve riguardare il livello assoluto, non una diminuzione dei ritmi di crescita, come è avvenuto nel passato. La discussione che si è aperta in Italia sulla possibilità di ottenere maggiore elasticità nei parametri del disavanzo pubblico, non tiene conto non solo della dinamica del debito, ma soprattutto del fatto che non è stata invertita la dinamica della spesa corrente, unica condizione che consentirebbe di recuperare spazi per la crescita.
Parte delle risorse risparmiate, infatti, potrebbero essere utilizzate per un allentamento della pressione fiscale con una riforma tributaria di più lungo periodo. La scelta è piena facoltà dei governi nazionali, il Consiglio direttivo può solo suggerire l’impostazione a suo parere più idonea a stabilizzare le finanze e favorire lo sviluppo. Secondo l’opinione prevalente nella Bce, occorre spostare l’equilibrio verso l’imposizione indiretta, alleggerendo in misura proporzionale quella diretta.
Siamo convinti che l’Italia soffra di una crisi di competitività di lungo periodo per affrontare la quale occorrono riforme strutturali dei mercati e il Consiglio direttivo si rammarica che non siano state accolte le raccomandazioni contenute nella prima parte della lettera del 5 agosto 2011. Con rincrescimento, dunque, siamo costretti a riproporre quasi alla lettera il testo di allora: “Vediamo l’esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita… Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno dei sistemi regolatori e fiscali più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro”. In particolare, allora il Consiglio della Bce indicava tre punti:
“a) Una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura dei servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
B) Riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi a livello d’impresa, in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.
C) Un’accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione della disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro”.
Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.
Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate.
Con la migliore considerazione,
Ignazio Visco, Mario Draghi.