«La ripresa negli Stati Uniti non è immune da incertezze, ma i rischi più grossi sono alle spalle e in quanto europei possiamo essere soltanto invidiosi della capacità dimostrata dalla Fed di contrastare la crisi». Lo afferma Mario Seminerio, economista e direttore di Phastidio.net, secondo cui gli articoli pubblicati negli ultimi due giorni su due importanti quotidiani italiani, in cui si denunciano i pericoli di una bolla finanziaria negli Usa, «giungono quantomeno un po’ in ritardo».
Davvero negli Usa sarebbe imminente l’esplosione di una nuova bolla finanziaria come hanno scritto Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore?
Mi domando per quale motivo siano stati pubblicati questi articoli proprio adesso. Se c’era un rischio di bolla probabilmente era del tutto anteriore alla presa di posizione della Fed. A fine maggio, la Federal Reserve ha annunciato che avrebbe iniziato a ridurre il programma di Quantitative easing, azzerandolo a metà del 2014. Di per sé quindi il rischio di una bolla esiste non da oggi, ma da parecchio tempo, cioè da quando la Fed ha deciso di introdurre delle misure non convenzionali a difesa dell’economia. In questo momento però il rischio è in discesa, perché i rendimenti sui treasury sono in calo e il mercato ha trovato una maggiore compostezza.
Per quale motivo ne è così certo?
I multipli azionari in questo momento non sono alti ma nella media storica e la tendenza all’aumento degli utili delle società quotate a Wall Street è stazionaria o in lieve miglioramento. Detto questo, non escludo che ci siano alcune aree del mercato finanziario che hanno qualche rischio bolla. Mi riferisco in particolare alle obbligazioni societarie ad alto rendimento, come le cosiddette high-yield, o obbligazioni spazzatura, e al mercato dei loans o prestiti bancari ad alto rischio. Non è però un allarme di oggi, e probabilmente la fase di rischio più acuta è già alle spalle.
Che cosa ne pensa del fatto che la ripresa Usa è trainata da energia, mercato immobiliare e credito alle imprese, anziché da una crescita della domanda e dell’occupazione?
Come abbiamo assistito anche in occasione delle precedenti crisi, la ripresa americana tende ad avvenire con una certa lentezza nello sviluppo di nuova occupazione. Il passo della domanda da parte delle imprese è in parte frenato dal fatto che c’è molta cautela, anche perché il Prodotto interno lordo cresce meno del 2% annuo e quindi non è in grado di generare occupazione in maniera robusta. Il mercato immobiliare sta ripartendo dopo avere toccato minimi storici assoluti. Dopo l’annuncio della Fed a fine maggio c’è stato un forte rialzo del tasso sui mutui, e questo tenderà a raffreddare la domanda di finanziamento immobiliare frenando l’intero settore.
Qual è il ruolo giocato dalla tecnologia del fracking nell’estrazione di gas e petrolio?
Nuove tecnologie come lo shale gas e lo shale oil potrebbero ridurre la dipendenza energetica americana, ponendo i paesi europei in un ulteriore svantaggio competitivo. L’Ue ha infatti una legislazione ambientale estremamente restrittiva.
E quindi?
Quindi è vero che, in attesa del fatto che l’economia ritorni ad accelerare, i motori della ripresa americana sono l’energia, il mercato immobiliare e il ritorno del credito alle imprese. Quello però che tenderei a enfatizzare è il concreto rischio che l’Europa sia messa in svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti.
Come valuta le critiche di quanti affermano che Obama e la Fed avrebbero adottato delle politiche keynesiane?
Gli Stati Uniti non hanno avuto un modello di ripresa keynesiana. L’occupazione nel settore pubblico è in costante calo, sia a livello federale che statale. Lo stimolo messo in atto è stato di dimensioni molto contenute ed è servito ben poco a generare ripresa. In questo momento la ripresa è trainata soprattutto dalla politica monetaria della Fed, e non invece da una politica fiscale espansiva. Come segnala il Fondo monetario internazionale, quest’anno negli Stati Uniti ci sarà una stretta fiscale legata alle manovre di contenimento del deficit, e ciò frenerà il Pil dell’1,5%.
E quindi?
Quindi non ha senso affermare che la ripresa americana sia stata indotta attraverso politiche keynesiane. È pur vero che in campo monetario è stata adottata una strategia espansiva, ma non vedo lo scandalo di un intervento stimolativo. Pur con tutti i rischi legati alla ripresa d’oltreoceano, gli Stati Uniti possono contare su una banca centrale che sta dimostrandosi molto efficace nel contrastare le crisi. Noi come europei possiamo essere soltanto invidiosi.
(Pietro Vernizzi)