Nove ipotesi per la revisione dell’Imu sono state presentate da Fabrizio Saccomanni sul sito del ministero dell’Economia e delle Finanze, dove si precisa che la cancellazione della prima rata Imu, sospesa fino a settembre, produce effetti negativi sul gettito 2013 pari a 2,4 miliardi di euro, di cui 2,1 miliardi per le abitazioni principali e 0,3 miliardi per terreni e fabbricati rurali. Un’esenzione totale per le prime abitazioni, costerebbe invece almeno 4 miliardi allo Stato. Ilsussidiario.net ha intervistato Carlo Buratti, professore di Scienza delle finanze all’Università degli Studi di Padova.
Professor Buratti, che cosa ne pensa di queste nove ipotesi?
La prima impressione è che il governo stia brancolando nel buio e che non abbia una linea definita, tanto è vero che deve formulare nove ipotesi. Per quanto riguarda la detraibilità dell’Imu dalle imposte che le imprese pagano sui loro redditi, la ritengo una misura ragionevole, soprattutto se si vogliono sostenere le imprese in questo momento molto critico.
Perché?
L’Imu è un’imposta che si paga anche se la gestione va male e non ci sono utili, o addirittura i bilanci sono in rosso. Con le rivalutazioni degli estimi catastali è stato cambiato il moltiplicatore che si applica alle rendite, e le imprese sarebbero tenute a pagare molto di più per quanto riguarda l’Imu. Questa modifica è quindi necessaria, non so se in via definitiva ma certamente almeno provvisoria.
Come valuta invece il dibattito sull’Imu per la prima casa?
Per quanto riguarda nello specifico l’imposta sulla prima casa, non l’ho mai trovata scandalosa perché c’è in quasi tutto il mondo. La tassazione dell’abitazione principale è il modo tradizionale di finanziamento degli enti locali praticamente ovunque. L’Italia agevola l’acquisto della prima casa perché consente la deduzione degli interessi passivi sui mutui ipotecari, e per tanti anni ha agevolato l’imposizione sul reddito da prima casa, che è scomparso, e ha ridotto l’imposizione Ici e Imu sulla prima casa fino ad azzerarla del tutto. Siamo quindi un Paese in parte anomalo da questo punto di vista, in quanto consideriamo la prima casa come un bene assolutamente intangibile che non può essere colpito da imposta. Questa scelta va in parte contro le indicazioni della letteratura economica. Trovo al contrario ragionevole che si possa alleggerire l’imposta sulla prima casa.
In che modo è possibile farlo?
Tra le strade per farlo c’è un aumento delle detrazioni, anche se si tratta di una strada che costa in termini di gettito. Per quanto riguarda i benefici in proporzione al reddito imponibile, occorre stare attenti in quanto l’Irpef è un reddito individuale e non invece di famiglia. Se c’è però la comunione dei beni nel matrimonio, l’immobile è intestato a entrambi i coniugi e l’imponibile si ripartisce a metà tra entrambi. Se la moglie fa la casalinga e quindi non ha reddito, figura come una persona “indigente” e questo fa sì che emerga un’immagine in parte distorta della realtà. Va inoltre tenuto conto del fatto che i redditi dichiarati non sempre sono veritieri.
Che cosa ne pensa invece della proposta di fare riferimento all’Isee?
Fare riferimento all’Isee, differenziando la deducibilità dell’imposta attraverso questo parametro anziché attraverso il reddito dichiarato potrebbe essere una soluzione migliore, perché l’Isee dovrebbe tenere conto anche di redditi che non rientrano nel computo dell’Irpef e lo stesso patrimonio. L’Isee inoltre a differenza dell’Irpef è un indicatore del benessere della famiglia e non della singola persona.
C’è qualche elemento di cui il ministro Saccomanni non tiene conto?
Un altro aspetto importante è la revisione dei valori catastali. Si tratta di un’operazione complicata, che può richiedere anni, ma che va cominciata. Tutti affermano infatti che i valori catastali attuali non riflettono più i valori effettivi degli immobili. In alcuni casi sono allineati ai valori di mercato, altri sono addirittura superiori, in altri casi sono largamente inferiori. Si tratta di un problema che ammettono tutti e di cui ora occorre prendere atto.
(Pietro Vernizzi)