A Francia e Germania il Fondo Monetario internazionale ha suggerito di allentare il rigore per favorire i primi timidi segnali di ripresa. È finita l’austerità? E l’Italia? Perché nessuno le ha detto di evitare un eccessivo rigore sui conti? Lo abbiamo chiesto a Gustavo Piga, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



È finita l’austerity?

La risposta alla sua domanda la sapremo immediatamente dopo le elezioni tedesche. Allora sapremo quanto ha giocato il bluff della Merkel che in campagna elettorale ha evitato di dar fastidio a chi non vuol sentir parlare di venire in aiuto all’Europa che brucia. E bisognerà vedere quale sarà la reazione degli altri leader che hanno tanto da guadagnare da un cambio di passo del genere. In primis, la Francia.



A cosa è dovuto questo cambiamento di giudizio del Fmi?

A un semplice motivo: che l’austerità ha perso. Dimostrando che non c’è nessuna austerità espansiva, che l’austerità in momenti di recessione fa male. L’austerità è importante quando le cose vanno bene, quando bisogna mettere fieno in cascina per i tempi bui. Se si fa austerità in tempi bui, si ammazza il paziente. Tutti abbiamo preso atto che non si esce dalla crisi con l’austerità.

È soddisfatto quindi?

Sono contento di questa enfasi del Fmi, ma secondo me bisognerebbe fare molto di più.

Cosa?

L’unica soluzione che può risollevare i paesi in difficoltà è far uscire i tedeschi dall’idea di austerità, dando loro una maggiore leadership. Faremmo l’unica mossa “tedesca” nell’interesse dei cittadini tedeschi. Quindi potrebbe essere accettata dai loro politici.



In che modo?

Se la formichina tedesca, che in questi ultimi vent’anni ha risparmiato, facendo fare sacrifici ai lavoratori che hanno accettato limitazioni incredibili sui salari pur di tenere le aziende in casa e non perdere la sfida della globalizzazione con i cinesi, se la Germania oggi dicesse agli operai tedeschi che non hanno acquistato frigoriferi italiani o vacanze a Bellagio per lungo tempo perché l’austerità non lo permetteva, che finalmente possono tornare a farlo perché il governo tedesco ha deciso di fare una politica anti-austerità, abbassando le tasse alla classe media. Ovviamente sarebbe un regalo diretto ai tedeschi, che accetterebbero volentieri, oltre che un regalo fantastico agli albergatori di Bellagio e a tutti i produttori di elettrodomestici italiani. Tra l’altro avrebbe anche un vantaggio addizionale.

Quale?

Rimettere a posto gli squilibri delle partite correnti fra aree dell’euro nord e dell’euro sud. Perché se i tedeschi incominciano a importare di più e noi a esportare, ecco che si vengono ad aggiustare anche i debiti esteri delle due aree. Ovvio che tutto deve passare da un rilancio della domanda nei paesi che tirano dell’area dell’euro nord.

 

Il Fmi poteva spingersi oltre?

 

Non basta dire a Francia e Germania “non fate austerità”. Bisogna dire a voce alta ai tedeschi di fare esattamente il contrario dell’austerità, cioè una politica fortemente espansiva. Altrimenti rischia di saltare il loro progetto europeo: se salta l’euro, salta anche la Germania. Se alla Germania si sono aperte le porte del mercato cinese è grazie al potere politico della bandiera europea: ai cinesi non interessa la Germania, interessa quell’enorme mercato chiamato Europa. È importante che la Germania, che è diventata forte con l’euro, capisca che assieme ai diritti ci sono anche dei doveri.

 

Sta dicendo che c’è stata timidezza da parte del Fmi?

 

Sì, tanto più che questa crisi sta pesando terribilmente sulle aspettative della gente, sul pessimismo e sull’ottimismo delle persone. Se l’umore degli investitori, delle imprese e delle famiglie non passa da pessimista a ottimista, non si rilancia la domanda interna. E per fare questo salto non basta dire “meno austerità”, bisogna dire “fine immediata dell’austerità e rilancio della domanda interna”.

 

Perché il Fmi non ha rivolto il medesimo appello all’Italia?

 

È vero non l’ha fatto, ma potrebbe dirci: fate politiche espansive non in deficit, come è consentito alla Germania da settembre, usando gli aumenti di tasse che ha fatto il governo Monti per finanziare domanda pubblica vera.

 

Che fine hanno fatto quegli aumenti?

 

Purtroppo li abbiamo usati per ripagare il debito. Quei soldi cioè sono stati restituiti a investitori di titoli esteri che li hanno portati fuori confine, o a investitori di titoli italiani che se li sono tenuti sul conto corrente. Questi aumenti di tasse in pratica non sono rientrati nell’economia.

 

Come verrebbe accolta dai mercati questa decisione?

Se i mercati vedono contemporaneamente che la Germania fa una politica espansiva in deficit e l’Italia politica espansiva in pareggio di bilancio, se vedono che l’aumento delle tasse viene re-immesso nel sistema economico dall’unico attore che in questo momento ha la possibilità di domandare, a quel punto riparte il volano perché ripartono la produzione, il reddito, i salari, l’occupazione. Si ricrea la domanda interna, il settore privato ritrova fiducia, le famiglie ricominciano a domandare perché i salari sono aumentati e le prospettive di occupazione sono maggiori, le imprese vedono un futuro più roseo e tornano a investire. A quel punto il Pil riprende sul serio e la domanda pubblica può tirarsi indietro e rientrare nel ruolo che le spetta quando i tempi sono buoni. Tuttavia

 

Tuttavia?

 

È ovvio che ci vuole coraggio. Se questa è una crisi di coraggio del settore privato, il settore pubblico non brilla certo per audacia. Abbiamo un governo che ha paura perfino a fiatare di fronte alle lamentele della Commissione europea.

 

Che riforme occorrono?

 

Bisogna avere il coraggio di apportare modifiche profonde al ruolo della Commissione europea che ormai è caduta in disgrazia, visto che tutti i consigli che ha dato erano sbagliati. Il Consiglio europeo deve prendere in mano la macchina delle decisioni: tolga il pilota automatico e riprenda in mano i comandi dell’aereo prima che vada a sbattere contro la montagna.