Il debito spagnolo, per la prima volta in 18 mesi, è meno caro di quello italiano. I Bonos a dieci anni rendono il 4,49% contro il 4,51% dei Btp. Sembra un’inezia, ma conta la traiettoria di una curva che ormai da un po’ di tempo sembra aver cambiato verso. La ragione, dicono gli operatori sui mercati europei, è la tensione politica in Italia, dove il governo Letta è sul punto di cadere. Anton Heese, che a Morgan Stanley co-dirige le strategie europee, sottolinea che la Spagna ha fatto passi avanti importanti nella riduzione del costo del lavoro, mentre in Italia le riforme segnano il passo. Dunque, a parte le storiche debolezze (tra le quali una disoccupazione stellare, arrivata ormai al 26,3%, superiore a quella degli Stati Uniti negli anni ‘30), l’economia spagnola sembra avviata su un sentiero più chiaro, garantito dal fatto che non è in vista nessuna caduta di Mariano Rajoy nonostante gli ultimi scandali sui finanziamenti al Partido Popular.



Lo spread sarà un pericoloso marchingegno della perfida finanza (quella teutonica soprattutto), ma la politica è una componente fondamentale sul mercato del debito e tutto suggerisce che il barometro politico italiano volge al brutto. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, economista di alto livello e uomo indipendente, ieri ha sintetizzato il quadro italiano con due sostantivi inquietanti: incertezza e instabilità, l’una alimenta l’altra. “La ripresa è oggi a portata di mano ma i rischi verso il basso restano significativi – ha detto – Per cogliere l’occasione non possiamo attenuare i nostri sforzi”. Nel secondo trimestre di quest’anno, secondo i dati Istat, il Prodotto interno lordo corretto è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e del 2,1% nei confronti del secondo trimestre del 2012. La stima preliminare diffusa il 6 agosto scorso aveva rilevato una diminuzione congiunturale dello 0,2% e una diminuzione tendenziale del 2%.



In altri termini, l’incertezza si estende anche alla congiuntura economica (“i tempi e la forza della ripresa”, secondo le parole di Visco), non grava solo su quella politica. Il governatore, in sintonia con tutte le analisi italiane e internazionali, sostiene che fin dalla primavera s’è visto un mutamento delle aspettative che si è trasformato in aumento degli ordinativi all’industria. Tuttavia, siccome i movimenti riguardano ancora decimali di punto, basta davvero poco per invertire di nuovo le attese di famiglie e imprese. E quel poco dipende in modo determinante dalla politica.



Detto senza perifrasi, è questo il momento peggiore per una crisi di governo. Anche perché non si sa bene che cosa verrà dopo. Se Giorgio Napolitano tiene fede a quel che ha sostenuto accettando il suo secondo incarico (e il Presidente della Repubblica è sempre stato di parola) non manderà l’Italia a votare con questo sistema elettorale, con il Porcellum. Dunque, proverà fino all’ultimo a vedere se c’è una maggioranza alternativa alla grande coalizione, per sostenere un Letta bis. La conta è già cominciata e sembra che manchino una decina di voti. Ma si tratterebbe di una maggioranza anti-Berlusconi che va da Monti a Vendola passando per una serie di deputati “responsabili” che vengono un po’ da qui un po’ da là, compresi centro-destra e grillini. Dunque, un sostegno debole, con un segno nettamente diverso da quello del governo precedente.

Quanto durerà? Poco, chissà se ce la farà a passare la boa delle elezioni europee la primavera prossima. E che cosa combinerà? Pasticci. Nel senso che diventerà prevalente la pressione per disfare “da sinistra” quel che ha tessuto il Letta uno, a cominciare dalle tasse. Torna l’Imu? E si va avanti ancora con la imposta sui servizi? E chi la determinerà? Che peso avranno i comuni? Sul mercato del lavoro, sarà come lasciare mano libera alla Cgil.

Può darsi che il tentativo non riesca e Napolitano sia costretto a sciogliere le Camere. A quel punto, è facile immaginare uno scenario da autunno 2011 con la ghigliottina dello spread che s’accanisce sui titoli italiani come i giacobini contro i girondini. Anche gli elettori saranno spinti a scelte e valutazioni basate sulla paura, con tensioni sociali e politiche crescenti. Un clima da tragedia, greca per l’esattezza. Sono ancora ipotesi, scenari più o meno realistici. Ma è bene, quando tutti si guardano l’ombelico, gettare uno sguardo in avanti. Il governo che verrà dopo una campagna elettorale del genere non avrà alcun margine di manovra. Sia che vinca la destra, sia che prevalga la sinistra, sarà commissariato dai mercati e dalla Bce. Non gli resterà che chiedere l’aiuto delle Omt (Outright monetary transactions), cioè l’acquisto di titoli condizionati a tagli e sacrifici ancora peggiori di quelli attuali, premessa di un salvataggio su larga scala.

Che succede, allora: bisogna sospendere la democrazia, non si può più votare per colpa dei mercati o dei tecnocrati di Bruxelles? Certo che no. Del resto si è votato già in primavera senza un chiaro vincitore. Ma il timing è particolarmente sfavorevole, mentre la recessione sta finendo e la ripresa non è ancora arrivata; quando siamo appena usciti dalla lista dei peccatori, però non siamo ancora entrati nel girone dei virtuosi. Il senso di responsabilità e la logica razionale spingono verso la continuità del governo. Invece, lo stato d’animo che domina in Parlamento e nelle piazze, va in senso opposto.

A sinistra come a destra, spira un vento revanscista. La coalizione Pd-Pld è stata vissuta come una gabbia da entrambi i partiti e come un inganno da chi ne è rimasto fuori. Se cadesse, dunque, sarebbe una liberazione. Fischiano le pallottole, scorre il sangue, à la guerre comme à la guerre. In realtà, sfiduciare il Letta uno per avere un Letta due non conviene a nessuno. Le elezioni a breve sarebbero un problema non la soluzione. Ciò non vuol dire che la questione Berlusconi sia secondaria. Chi vuole banalizzarla è in mala fede. Tuttavia, la scelta va fatta avendo davanti la tavola dei costi e dei benefici, tenendo conto delle priorità proprie e del Paese. In Italia si sta giocando una partita su tante scacchiere parallele, interne e internazionali, ogni mossa deve tener conto delle reazioni e delle sue multiple conseguenze. L’Italia dell’autunno 2013 è ancora in grado di ragionare con la freddezza dello scacchista?