La Spagna ci ha raggiunto e infine superato. Stiamo parlando di spread. Il costo del rifinanziamento del debito pubblico spagnolo ieri è sceso sotto quello italiano. In buona sostanza, i Bonos decennali rendono poco meno (un paio di punti base) degli omologhi Btp. Ora, considerando che il nostro Paese è l’unico del G7 ancora in recessione, il che significa che l’economia reale ancora annaspa fortemente, dovrebbe francamente importarcene qualcosa? Lo abbiamo chiesto all’economista Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Cosa ci indica il dato sullo spread?
Lo spread è la differenza tra il nostro costo del denaro e quello dei tedeschi, con i quali normalmente ci si confronta. Il paragone è significativo quanto più il costo del denaro del Paese di riferimento è stabile. Ora, si dà il caso che il costo del denaro, in Germania, sia salito perché siamo vicino alla elezioni e secondo i mercati il rischio che la Merkel non vinca, benché sia basso, esiste. Quindi, per disporre di indicatori utili, oltre al differenziale dobbiamo tener conto dell’effettivo costo di rifinanziamento del nostro debito che, essendo rimasto di recente pressoché invariato, rende la discussione sullo spread meno importante di una volta. Che lo spread tra Spagna e Italia si sia pressoché azzerato, poi, dipende dal fatto che il costo del denaro spagnolo è diminuito più rapidamente di quello Italiano.
Cos’ha fatto meglio di noi la Spagna?
I mercati hanno percezione della sua stabilità politica e pensano che il governo in carica farà effettivamente le riforme. La Spagna, inoltre, assieme alla Francia, ha avuto dall’Ue due anni in più per mettere il bilancio in ordine. A noi questo non è stato consentito. La deroga, nel nostro caso, è stata subordinata alla dimostrazione di poter restare strutturalmente entro il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil.
Crede che la nazionalizzazione di Bankia sia stata interpretata con favore dai mercati?
Direi di sì. La Spagna ha ripulito il proprio comparto bancario, specialmente tra le casse di risparmio che erano diventate una variabile impazzita, dato che avevano in portafoglio i finanziamenti all’edilizia, un settore ormai paralizzato.
Perché siamo ancora in recessione?
Abbiamo sommato un male di lungo periodo, il lento declino delle nostre presenze in settori importanti come l’elettronica, alla crisi che ci è piombata addosso. Ora, rispetto alla crisi, forse siamo giunti alla fine: tutti gli indicatori produttivi sono vicini allo zero, mentre in alcuni comparti ha iniziato a ricomparire il segno più. Tuttavia, il male di fondo resta: siamo privi di una politica industriale.
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha detto che la recessione ci ha salvato dal default. Cosa ne pensa?
Credo che sia così. I media non hanno mai valutato appieno la drammaticità della situazione che si era creata alla fine del governo Berlusconi. Per semplificare: l’Italia deve restituire ogni anno circa 300 miliardi di euro di debito, ovvero circa uno al giorno. E, ogni giorno, per restituire un miliardo di debito, va sui mercati, e ne chiede un altro (vanno intese in questo senso le aste di titoli). Era successo che, improvvisamente, nessuno voleva più prestarci un miliardo al giorno. Non ci restava che fare default o tagliare radicalmente le spese bloccando comunque la vita del Paese. Tutto questo è stato superato. Un miliardo al giorno, ora, ci viene prestato senza particolari problemi. E a un tasso che è da Paese normale, seppur si avvicina al limite alto. Se poi l’Italia deciderà di voler aprire una crisi politica o varare provvedimenti che introducono spese aggiuntive, tutto si deteriorerà di nuovo.
(Paolo Nessi)