A meno di una settimana dal voto tedesco i cieli d’Europa sembrano meno minacciosi. La ripresina ormai è partita. L’ultima conferma arriva dal bollettino della Bce: “Dopo sei trimestri con il segno negativo – si legge nel rapporto – nel secondo trimestre del 2013 la crescita del Pil in termini reali nell’area dell’euro ha registrato lo 0,3% sul periodo precedente… Da allora gli indicatori del clima di fiducia basati sulle indagini congiunturali fino ad agosto mostrano un ulteriore miglioramento a partire da bassi livelli. Per i restanti mesi del 2013 e il prossimo anno ci si attende, in linea con lo scenario di base, un lento recupero del prodotto, soprattutto sulla scorta di un progressivo miglioramento della domanda interna sostenuta dell’orientamento accomodante della politica monetaria’. Nell’area dell’euro, prosegue il rapporto, l’attività economica dovrebbe altresì beneficiare di un “graduale rafforzamento della domanda esterna di esportazioni”. Ma le cose andranno proprio così?



A) Il quadro quasi rosa, per la verità, non trova conferma negli ultimi dati congiunturali. A luglio la produzione industriale europea è andata peggio del previsto: -1,5% rispetto a una previsione di -0,1%. Altro cattivo segno: la situazione dell’occupazione in Grecia sta peggiorando. Ormai i senza lavoro sono il 27,9%, tre punti abbondanti in più rispetto al 24,6% di un anno fa. Non è difficile prevedere che la congiuntura peserà sul prossimo negoziato per nuovi aiuti ad Atene e nuove modalità di intervento in Irlanda e Portogallo. Sarà il primo test per il governo tedesco uscito dalle elezioni: difficile, quasi impossibile, che il vincitore apra con un gesto di clemenza; altrettanto difficile che la Grecia possa limitarsi a chinare il capo senza ottenere un riconoscimento degli sforzi fatti.



B) La fotografia, con qualche ritocco, vale anche per l’Italia. Anche nel nostro caso, al netto delle turbolenze politiche (che pesano molto ma non possono essere un alibi) i segnali negativi non mancano. La domanda interna, in particolare, resta molto debole. Le operazioni congiunturali di questi mesi, per ora, hanno prodotto effetti limitati. Vale per l’Imu, sospesa con mille distinguo, così azzerando l’eventuale impatto sulle scelte delle famiglie. Vale, in parte, anche per il pagamento degli arretrati sulle imprese, senz’altro più “frenato” rispetto a quanto avvenuto in Spagna. Vale, soprattutto, per il pessimismo delle famiglie su reddito e fisco nel prossimo futuro. I tassi di interesse sul debito pubblico italiano stanno salendo in misura sensibile. È il frutto dell’incertezza politica, ma non solo. La ripresa internazionale (comunque non confermata dai dati della produzione industriale Ue di luglio) si traduce, ancor prima del probabile tapering in Usa, in un aumento dei rendimenti che tocca sia i Bond Usa che i Bund tedeschi. Per l’Italia il rischio è di dover conteggiare 1,5-2 miliardi di interessi in più nell’ultimo trimestre.



Inoltre, nonostante le affermazioni del premier Enrico Letta, basta una sommaria lettura del Bollettino della Banca centrale per capire che l’Italia resta un osservato speciale: “In Italia le informazioni preliminari sull’esecuzione del bilancio dello Stato in base ai dati di cassa fino a luglio 2013 indicano un fabbisogno finanziario cumulato di 51 miliardi di euro (3,3% del Pil), in aumento da quasi 28 miliardi (1,8% del Pil) nello stesso periodo del 2012. Il peggioramento, dovuto soprattutto all’erogazione di sostegno al settore finanziario e al rimborso di arretrati, mette in risalto i rischi crescenti per il conseguimento dell’obiettivo di disavanzo delle amministrazioni pubbliche nel 2013 (2,9% del Pil)”. È il tono che si usa per gli studenti arrivati, con grande fatica, a una striminzita sufficienza ma che rischiano di vanificare gli sforzi nella stagione delle vacanze. Il tutto accompagnato dal forte sospetto che la tentazione di tornare al vecchio andazzo sia forte assai. Intanto il resto della classe fa progressi.

C) Si è molto parlato, negli ultimi giorni, del sorpasso spagnolo sui mercati del debito. A giustificarlo, oltre alla maggior stabilità politica, contribuiscono alcuni fattori: a) la riforma del mercato del lavoro basata sui contratti part-time per i dipendenti con meno di 30 anni, con una riduzione del 75% degli oneri sociali per le imprese con più di 250 dipendenti e del 100% per quelle più piccole; b) i tagli, robusti, al settore pubblico; c) il pagamento di tutti i debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese (32 miliardi); d) il miglioramento del Clup, il costo del lavoro per unità di prodotto, che al contrario continua a crescere nel nostro Paese. Emerge, insomma, il quadro di un Paese che, pur con grosse difficoltà, si è rimesso su un cammino virtuoso, avvantaggiato tra l’altro da un’industria del turismo effervescente e sostenuta da infrastrutture efficienti.

D) La Francia ha presentato ieri un piano decennale per rilanciare la politica industriale. Il programma è stato messo a punto dal governo assieme a McKinsey e si articola in 34 dossier per sviluppare, a partire da competenze specifiche dell’industria transalpina, altrettante eccellenze internazionali: si parla di biocarburanti, di auto ecologica, di trasporti sulla base dell’evoluzione del Tgv ma anche di tessuti, sanità, alimentari e così via. L’obiettivo è di creare 45 miliardi di valore aggiunto (18 miliardi in esportazioni in più) di qui a dieci anni creando o difendendo posti di lavoro già esistenti per 480.000 unità.

E) Non è affatto detto che l’operazione riesca. Così come nulla esclude che su Madrid piova di nuovo qualche tegola, in arrivo dalle banche o dall’immobiliare. Ma la sensazione, non solo dei mercati, è di trovarsi di fronte a Paesi che hanno capito che il quadro globale è oggi profondamente diverso da quello di sei anni fa, prima della grande crisi. E che occorre un salto di qualità nella gestione delle proprie risorse. L’Italia, al contrario, risponde a un mondo nuovo con ricette vecchie, compresa la richiesta della riduzione del cuneo fiscale che non ha dato buoni risultati con il governo Prodi. Davvero non si può inventare di meglio, partendo dalle riforme che garantiscano più produttività (innovazione e ricerca più che costo del lavoro) e più valore aggiunto? Certo, il debito è un fardello che limita la capacità di azione. Ma di fronte a un piano credibile forse la “nuova” Germania non alzerebbe il disco rosso. Se la ricetta, invece, si limiterà a una redistribuzione di risorse a carico della fiscalità o frutto di nuove tassi e nuovi debiti, il nein risuonerà più secco che mai. A ragione.