La saggezza popolare ci dice che la prima gallina che canta ha fatto l’uovo. Quindi verrebbe da pensare che Olli Rehn avesse la coscienza parecchio sporca, quando ieri ha tenuto a precisare che ogni eventuale decisione sull’aumento dell’Iva spetta solo e soltanto al governo italiano, senza influenze dell’Europa. Casualmente, non appena ripartito il buon Commissario europeo agli Affari economici e monetari, l’esecutivo italiano ha fatto capire chiaro e tondo che l’aumento dell’imposta appare inevitabile, visto che servono coperture a garanzia del mancato gettito Imu e per rifinanziare la cassa integrazione e le missioni all’estero, al netto delle eventuali manovre d’emergenza come l’aumento degli anticipi Ires. Insomma, non prendiamoci in giro, l’Europa ancora una volta ci ha dettato l’agenda. E questa volta la situazione deve essere particolarmente delicata, se invece di lettere o comunicati, Olli Rehn si è scomodato di persona per incontrare prima Saccomanni e poi Letta. Di cosa hanno parlato?



Io temo che qualcosa stia scricchiolando, visto che non posso credere che l’argomento principe sia stato davvero il rischio di sforamento del rapporto deficit/Pil: altrimenti, mi spieghi Olli Rehn perché non ha preso direttamente casa a Madrid, avendo la Spagna una ratio che sfiora il 7%, oltre ad aver già usufruito (inutilmente) di 41 miliardi di euro per ricapitalizzare le sue banche. E poi, perché il Tesoro italiano, al contrario proprio di quello spagnolo, ha aumentato le emissioni di nuovo debito da qui a fine anno? Sono così convinti, i tecnici del Tesoro, che le condizioni di mercato resteranno queste nel breve-medio termine e allora vogliono sfruttare il sentiment che vede il nostro spread a livelli accettabili e di nuovo in positivo rispetto a quello iberico? Siamo proprio sicuri? Non è che siamo stati obbligati a emettere più debito pubblico? Perché sapete, il dubbio sorge quando gli spagnoli decidono di limitare le aste e ieri si scopre che le sofferenze bancarie iberiche hanno toccato la quota record di sempre dell’11,97%, cifra che porta con sé una consapevolezza: ovvero, l’unico acquirente marginale di debito spagnolo, le banche del Paese, stanno per finire la copertura necessaria a pareggiare l’offerta di debito del Tesoro. Quindi, stop aste, altrimenti si rischia ciò che il mercato sta attendendo con ansia da tempo: la messa alla prova del famoso bazooka di Draghi, quell’Omt che semplicemente non esiste nei fatti.



Stiamo scherzando col fuoco. Anche perché sperare che lo spread resti così basso, significa essere “Alice nel Paese delle meraviglie”: secondo voi, la Germania lo permetterà, mettendo a repentaglio l’appeal del Bund nei portafogli di investimento, pagando il 2% di yield? E ancora, pensate che la Fed – riunitasi ieri sera – lascerà per molto il rendimento del decennale al 2,80%? No, ve lo assicuro, visto che gli 84 punti base presi dal Treasury a 10 anni da maggio all’inizio di settembre hanno rappresentato uno dei più violenti e rapidi incrementi di sempre: ora tocca scendere e non di poco, in area 2%. Quindi, il nostro spread è destinato giocoforza a salire nel breve periodo. Avevo contrattato al riguardo una dilazione sui tempi di consegna con la redazione, ma quanto accaduto durante la visita di Rehn ha preso il sopravvento: della Fed e delle conseguenze delle misure che avrà comunicato ieri sera, parleremo domani. Ma torniamo a bomba. Non è che Olli Rehn sia venuto anche per altro, un “altro” che risponde al nome di Mps? Magari perché si apre una bella finestra in caso di nazionalizzazione (o forse che accelererà la nazionalizzazione), essendo l’istituto senese imbottito di Btp (29 miliardi di euro), parecchi dei quali magari legati alla clausola CAC, quella di azione collettiva che in caso di ristrutturazione o default permette allo Stato emittente di ridiscutere il rendimento e quindi il valore di quel titolo?



Sicuramente mi sbaglio, ma se così non fosse, auguri ai detentori di quel debito e magari non solo a loro. L’approssimarsi delle elezioni tedesche e dell’ormai quasi certa vittoria di Angela Merkel sta già delineando bene quali saranno i tempi che ci attendono. Come leggere, altrimenti, l’intervento di Wolfgang Schaeuble dell’altro giorno sul Financial Times, nel quale il potente ministro delle Finanze tedesche diceva chiaro e tondo che la gente deve «ignorare i profeti di sventura: l’Europa è stata stabilizzata e sta per riprendersi sia a livello ciclico che strutturale»? Ritrovandomi io in pieno nella categoria appena fustigata da Schaeuble, vorrei ricordare a lui – come a Olli Rehn – che il tasso di disoccupazione in Grecia è al 28,7% (62,9% quello giovanile), in Spagna al 26,3%, a Cipro al 17,3% e in Portogallo al 16,5%. E che i geni della troika parlavano di un calo del Pil greco del 2,6% nel 2010 salvo poi risalire in fretta, peccato che dal picco al minimo siamo già al -23% e analisti indipendenti parlano di un altro 5% di contrazione per quest’anno. È questo il suo concetto di stabilizzazione, forse? O quello che vede il nostro Tesoro, domani, costretto ad ammettere che la ratio debito/Pil dell’Italia è del 132,6%, grazie proprio ai miracoli dell’austerity?

O forse la sua stabilizzazione è quella che vede l’Europa del Sud devastata dall’apprezzamento mortale dell’euro e dall’aumento di 70 punti base del costo di finanziamento a causa dell’inflazione artificiale importata dalla Fed? Oppure la sua stabilizzazione è quella del roll-over della massa monetaria M3 a fronte di una contrazione della concessione di credito nell’eurozona dell’1,6% nel mese di luglio, cioè la totale distruzione del meccanismo di trasmissione della liquidità, a tutto beneficio dell’Europa del Nord? Ma si sa, la vulgata generale e imperante, ormai, è quella della ripresa che è già in atto. Sapete quale ripresa? Quella di chi sta facendo valangate di soldi in Borsa grazie all’afflusso di denaro Usa (e giapponese) nell’eurozona, visto che l’allocazione di capitale dei fondi verso titoli dell’eurozona ha raggiunto in questo periodo il livello pre-crisi.

Un colossale carry trade che se ne frega bellamente di disoccupati, Pmi che chiudono, produzione industriale sempre più in crisi, ma guarda e festeggia soltanto i rally artificiali degli indici, vedi il Dax sopra 8600 o il Ftse Mib che a inizio del prossimo anno potrebbe aggirarsi intorno a quota 20mila punti. Non lo dice il sottoscritto, lo dice l’ultimo studio di Bank of America-Merrill Lynch dopo aver interpellato moltissimi fund managers a inizio settembre. Nel mese in corso, infatti, l’allocazione di capitali esteri su titoli azionari europei è ai massimi dal maggio 2007, qualcosa come il 36% degli asset globali contro il 17% del mese di agosto. Livello raddoppiato e non per la ripresa di Schaeuble e dei suoi sodali, solo per l’effetto Fed e dei mercati emergenti. Tanto più che il Paese su cui i fondi Usa stanno scommettendo di più è fuori dall’eurozona, essendo la Gran Bretagna: il 12% degli interpellati si è detto overweight su titoli britannici, il massimo mai registrato.

E Bank of America-Merrill Lynch non ha fatto il suo sondaggio tra quattro persone ma ha interpellato 236 manager che sovraintendono a portafogli per 689 miliardi di dollari, i quali non solo hanno confermato il trend della rotazione da bonds a titoli anche nel mese di settembre, ma dichiarato che continua l’atteggiamento underweight sui mercati emergenti: ben il 18% degli intervistati si è definito tale, facendo raggiungere all’esposizione totale il livello più basso dal novembre 2001.

Francamente, se devo scegliere tra la ripresa vera e quella della Borsa, non ho dubbi. Per Olli Rehn, l’Italia è come una Ferrari che ora ha bisogno di un motore più competitivo. Vero, forse. Cosa non ci serve sicuramente, però, è un meccanico finlandese che da quando è Commissario europeo ha inanellato un fallimento dopo l’altro.