“La crisi è finita” hanno titolato tutti i principali quotidiani italiani. “La crisi è finita” ripetono come un mantra, dopo le ultime dichiarazioni del Centro Studi di Confindustria, sperando che sia una di quelle profezie autoavveranti, quasi che a parole si possa cambiare la realtà. Ma la realtà non cambia con le chiacchiere. E la realtà oggi dice che il Pil per il 2013 calerà dell’1,6%. Chissà perché viene da quelle stesse fonti che ultimamente non ne azzeccano una. E le stesse fonti prevedono una crescita del Pil dello 0,7% per il 2014. Ma innanzitutto dovrebbero dire di che razza di ripresa dovremmo avere, visto il tasso di disoccupazione a livelli stratosferici e in continuo aumento. E se aumenta la disoccupazione, come farà il Pil a crescere, se non con qualche abile trucco contabile? Più che le chiacchiere valgono i numeri, anzi i grafici (come quelli riportati a fondo pagina). Il primo da vedere è quello della disoccupazione a livello europeo, e la fonte è la Bce. Voi vedete forse un qualche miglioramento? Ma questo non basta, occorrono altri dati per completare il quadro della situazione. Allora vediamo, con il secondo grafico, il debito degli stati dell’Eurozona, che è in crescita esplosiva. Quindi sempre maggiori interessi da pagare ogni anno. Ma il debito non sarebbe un problema, se l’economia potesse crescere. Vediamo allora, con il terzo grafico, il Pil nella zona euro. Ecco, quel trattino alla fine sarebbe la fine della recessione. Ma a seppellire ogni ipotesi di crescita viene il deficit degli stati (ultimo grafico), sempre con dati della Bce: siamo al -4,9%, sempre ampiamente negativo.



Questo è il quadro europeo dove un’Italia già indebolita dovrebbe trovare lo spunto per “agganciare la ripresa”, altro mantra insistente di questo periodo. Con la classe politica inesistente, aggrovigliata in schermaglie lontane dai problemi della gente, mentre continua l’emorragia di aziende fallite e l’esplosione della disoccupazione, si prepara un autunno davvero caldo per l’Unione europea. Anche perché i segnali di insofferenza verso l’euro si moltiplicano anche all’estero.



La situazione è sempre più drammatica e i principali leader europei ne sono consapevoli. Barroso ha avvisato l’Italia che un’eventuale crisi politica sarebbe catastrofica per l’economia italiana. Come se ora invece andasse tutto bene. Sempre meglio che correre il rischio di andare alle elezioni e trovarsi un Berlusconi vittorioso e capace di minacciare di uscire dall’euro (come sembra abbia fatto nel 2011, prima dell’impennata dello spread e delle dimissioni forzate). Nel frattempo, la destra francese di Marie Le Pen appare avviata a una clamorosa affermazione alle prossime elezioni: secondo un recente sondaggio, il 31% dei francesi si dice disposto a votarla. E il suo programma è chiarissimo in proposito: uscita dall’euro subito, ponendo gli altri governi di fronte al fatto compiuto: o si procede a una separazione consensuale, oppure si avvierà una soluzione traumatica.



E come dare torto alla Le Pen, dopo che anche la prestigiosa École des Hautes Études di Parigi ha proposto uno studio secondo il quale Francia, Spagna e Italia beneficerebbero ampiamente dall’uscita dall’euro? Le economie nazionali riprenderebbero competitività, proprio grazie alla svalutazione della moneta nazionale, prevista intorno al 20%. Così riprenderebbero mercato le esportazioni e verrebbe svalutato il valore del debito detenuto dagli stranieri. Con il volano delle esportazioni, si riavrebbero le assunzioni; e con le assunzioni, riprenderebbe il mercato interno.

Ma in Italia, c’è qualche partito capace di una simile visione di politica economica e monetaria? Non si vede niente all’orizzonte, a parte qualche dichiarazione di formazioni fino a oggi politicamente inesistenti. E mentre la politica latita, la società civile già si muove, adottando sempre più spesso diverse forme di Monete complementari. Dopo il Sardex della Sardegna, in Sicilia c’è il Sicanex, mentre in Piemonte si opera con il Piemex. Ad Avezzano, il Comune adotterà il Marso, in collaborazione con l’associazione Arcipelago Scec. La stessa associazione risulta molto attiva vicino Roma, presso i Castelli Romani, dove un numero sempre maggiore di commercianti aderisce al circuito.

E pure i convegni si stanno moltiplicando. A Londra il 13 settembre si è svolto presso la sede di Bloomberg il convegno “La fine dell’Euro che conosciamo”, promosso da Saxo Bank. A Roma il 23 settembre si riuniscono gli economisti che firmarono il “Manifesto di solidarietà europea”, promosso da economisti tedeschi e francesi e firmato dagli italiani Borghi e Bagnai. Sempre a Roma, il 12 settembre alla Camera dei Deputati è stato presentato il libro “Europa Kaputt” dell’economista Rinaldi, evento a cui hanno partecipato gli economisti Bagnai, Guarino, Savona e La Malfa. E sempre a Roma, il 12 ottobre vi sarà un convegno indetto dall’Associazione Reimpresa, da titolo “Uscita dalla crisi”, con l’intervento dell’economista Nino Galloni.

Una tale massa in interventi e convegni produrrà nel tempo quella consapevolezza indispensabile per una uscita dall’euro nelle migliori condizioni possibili. Occorre sperare e occorre una buona dosa di fiducia. Il meglio degli italiani viene nelle situazioni difficili.

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