Alla fine, di fronte al trionfo di super-Angela, i mercati hanno taciuto. Indici azionari cedenti “zero virgola”; spread fermi (quello italiano a 234, meglio di quello spagnolo), euro “di cemento armato” a 1,35 sul dollaro. Una giornata “quasi normale”: di quelle che non piacciono ai mercati – che alla fine di volatilità e turbolenze vivono – ma che ormai piacciono moltissimo a governi e governati. Ecco: lo “status quo” che molti sui mercati hanno registrato con malcelata delusione – e contro cui molti avevano scommesso e forse addirittura lavorato – è in realtà una notizia, e di primo livello. Lo status quo di Angela-3 non ha nulla da temere neppure dalla prospettiva di una maggioranza di grande coalizione, anzi: abbiamo già segnalato come sia probabilmente neri desiderata della nuova “madre della patria tedesca” la possibilità di misurarsi nuovamente con una larga intesa fra Cdu-Csu e Spd, ma stavolta nella veste di “furher” democratico del più grande paese dell’Unione europea.



Di una Germania più stabile è difficile abbia qualcosa da temere anche l’Europa, a cominciare da un paese fragile come l’Italia. Una Merkel che corre per i libri di storia – avendo alle spalle un’investitura elettorale e un Bundestag normalizzato – può coltivare più concrete e razionali chance di quelle che hanno illuso per pochi mesi Barack Obama all’inizio del secondo mandato: creare le basi di un “nuovo ordine”. E il “merkelismo” – che resta comunque radicato nella tradizione cristiano-sociale, può perfino proporsi come format politico “di merito”: come piattaforma riformista che – dentro e fuori la Germania – realizzi un “equilibrio più avanzato” fra un governo statale e nazionale dell’economia, abbondantemente superato; e una fiducia nel “laissez faire” della finanza globale che ormai è stata ritirata. Il merkelismo non cerca terze vie, né indulge in “centrismi”: è quello che – sulla propria pelle, tra molte difficoltà e acosto di errori – sta provando a fare il governo Letta in Italia.

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