L’indice flash Pmi dell’Eurozona sale a settembre al top da giugno 2011 e oltre le attese grazie al settore servizi, fornendo nuovi segni di una ripresa economica: da 51,5 è cresciuto a 52,1, oltre i 51,9 punti previsti dagli economisti. In particolare, l’indice manifatturiero è arretrato da 51,4 di agosto a 51,1 punti, sotto gli attesi 51,8 punti, mentre l’indice Pmi servizi ha superato le attese a 52,1 punti, dai 50,7 punti di agosto e contro una previsione di 51 punti. Ancora una volta è la locomotiva tedesca a trascinare l’eurozona: il settore privato in Germania è infatti cresciuto a settembre a ritmi che non vedeva dallo scorso gennaio, con l’indice composito Pmi salito a 53,8 da 53,5 di agosto.



Fin qui le baggianate ufficiali. Poi arrivano i fatti, sottoforma di proposta del ministro delle Finanze greco, Yannis Stournaras, il quale sarebbe talmente convinto che le cose nell’eurozona stanno volgendo verso il bello da aver già preparato un piano alternativo al terzo salvataggio del suo Paese, la cui necessità è già stata confermata da Wolfgang Schaeuble prima e dalla Commissione Ue poi. Spaventato dalle condizioni che la troika imporrebbe a questo ennesimo aiuto, il ministro vorrebbe infatti utilizzare gli assets di proprietà statale come collaterale per ottenere dei prestiti attraverso la creazione di un veicolo speciale (Special Purpose Vehicle) che sarebbe gestito congiuntamente da funzionari greci ed europei. In parole povere, questo veicolo, proprio per sua natura, permetterebbe alla Grecia di emettere obbligazioni legate alle proprietà statali, bonds che verrebbero poi presentati come collaterale al fondo Esm per ottenere prestiti.



Il fatto che la notizia sia emersa proprio domenica, quando i membri della troika sono arrivati ad Atene per il loro rituale soggiorno di controllo, la dice lunga. E nonostante i trionfalismi e le reazioni da sindrome di Stoccolma che hanno accompagnato la vittoria di Angela Merkel alle elezioni, più all’estero che in Germania a dire il vero, qualche dubbio sui mercati resta. E non soltanto legato all’ipotesi di una nuova grosse koalition con l’Spd, stante il non raggiungimento da parte della Cdu della maggioranza assoluta. Lasciate stare le Borse, un termometro ormai sconnesso dalla realtà, guardate i bonds: ieri sia il Bund a 10 anni che il Treasury di pari durata hanno visto aumentare i rendimenti, nonostante la conferma da parte della Fed di un nuovo diluvio di soldi e la vittoria comunque straripante del partito dell’austerity in Germania. Come mai? Forse perché la Fed sa di aver bucato la bolla e gli osservatori più acuti se ne sono accorti, anche se per ora la falla è minuscola e il sibilo quasi impercettibile?



Warren Buffett, uno che qualche investimento in vita sua l’ha fatto, domenica ha sentenziato che la Fed «è il più grande hedge fund della storia», sottolineando come «ormai non ci sono più in giro azioni che rappresentino un’occasione, sono già tutte prezzate». Grazie, con il mondo intero che gioca a fare Gordon Gekko e compra, è ovvio che i prezzi salgono. I bond, invece, restano un po’ lì in attesa, guardinghi. Certo, l’1,95% di rendimento è meglio del 2%, ma solo a maggio la Germania sul decennale pagava circa l’1,2%, mentre gli Usa da maggio si sono presi sul decennale qualcosa come oltre 100 punti base di yield. Per quanto riguarda gli Usa, ho scritto e riscritto – supportandole con i dati – quali siano le mie opinioni riguardo lo stato di salute reale dell’economia: sono ancora in recessione. Punto. Lo dicono chiaro e tondo i dati di vendita di Caterpillar, azienda leader per escavatrici e altri macchinari che sono la miglior cartina di tornasole per capire come va il settore strategico delle infrastrutture e delle costruzioni, un tondo -10% anno su anno a livello globale. Lo dicono i dati reali sull’occupazione, il 20% di cittadini che mangiano grazie a sussidi alimentari federali.

Lo dice anche altro. Il segmento delle vendite di auto attraverso prestiti a cittadini con rating di credito subprime è duplicato dal quarto trimestre del 2009 al quello del 2012, quando ha raggiunto i 18,4 miliardi di dollari. Di più, la vendita di obbligazioni in qualche modo legate al debito sono cresciute del 24,4% a 14,7 miliardi di dollari nel mese di agosto 2013 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Insomma, la crisi non ha insegnato niente, accanto all’enorme bolla globale della Fed ne sono nate altre, ormai cresciute come funghi: auto, mutui casa, mutui studenteschi, securities legate al debito. Follia allo stato puro.

Veniamo ora alla Germania. Domenica notte il Tg1 ha mandato in onda uno speciale sul voto tedesco, caratterizzato principalmente da due cose: lo scontro tra il giornalista e corrispondente in Italia di RTL, Udo Gumpel, e i ministri Fassina e Quagliariello (la battuta di Fassina sulla superiorità antropologica tedesca è stata fuori luogo, occorre ammetterlo, ma Udo Gumpel pochi minuti prima di andare in onda postava questo sul suo profilo Facebook: «Con Fassina e Quagliarello nel tg1 a commentare il risultato della Merkel…. ora ci divertiamo!». Quindi magari non antropologicamente superiore, ma un po’ arrogante e prevenutello è stato anche il bravo Udo) e un servizio fuori dai cancelli della fabbrica della Volkswagen di Wolfsburg dal quale si evinceva che tra mini-jobs, salari non altissimi, welfare che scarseggia, nemmeno la grande Germania è poi così immune da vizi.

Uno, che avrei voluto ricordare al collega tedesco quando ha urlato in faccia al vice-ministro Fassina che la Bce ha comprato 90 miliardi di debito italiano, è che il suo Paese non conteggia nel debito totale dello Stato il corrispettivo della nostra Cassa depositi e prestiti, quindi trucca i conti sulla ratio in partenza. Ma tant’è, basta vedere come contabilizza i derivati Deutsche Bank nel bilancio per capire che tutto questo rigore, quando si tratta del loro interesse, i tedeschi non lo mostrano al mondo. Certo, come faceva notare Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph, la Germania vanta un tasso di disoccupazione al 5,3% e al 7,7% per quello giovanile, un paradiso rispetto ai cosiddetti “periferici”, ma è stato proprio un tedesco, quel Joerg Asmussen membro del board della Bce, a dire chiaro e tondo che «entro dieci anni la Germania diventerà il grande malato d’Europa, se continuerà a ignorare le sue infrastrutture sempre più vecchie e se fallisce la missione di investire in educazione». La miglior università tedesca è il Munich Technical, 53ma nel ranking mondiale.

E nonostante le trombonate ambientaliste e la propaganda che la stampa tedesca ci propina, anche la rivoluzione verde voluta dalla Merkel dopo l’incidente di Fukushima rischia di colpire al cuore la locomotiva d’Europa. Non lo dico io ma bensì la BDI, la Confindustria tedesca, la quale ha chiesto al governo un drastico cambiamento nelle politiche energetiche, visto che l’investimento da 1 triliardo di euro in solare, eolico e altre fonti rinnovabili sta portando i costi dell’energia «a livelli che possono danneggiare la competitività tedesca». Già oggi l’elettricità costa il 30% in più che nel resto d’Europa e il doppio che negli Usa, per non parlare del costo del gas che grazie alla rivoluzione Usa dello scisto vede ora l’esborso europeo quattro volte quello statunitense (in Germania ci sarebbe l’opportunità di sfruttare lo shale gas, ma la lobby dei birrai ha fatto muro poiché il fracking, il processo di trivellazione estrattiva, potrebbe inquinare le acque e mettere a repentaglio la Purity Law della birra teutonica. E non sto scherzando). Scommettiamo che l’obiettivo di ottenere il 50% dell’energia necessaria dalle rinnovabili entro il 2030 e l’80% entro il 2050, se non andrà in soffitta, subirà un bel rallentamento?

Inoltre, la produttività per unità di lavoro è cresciuta solo dello 0,6% l’anno dal 2000 al 2010, rispetto all’1,4% di media dei paesi avanzati: lo dice l’Ocse, non il sottoscritto. Mentre la Banca Mondiale cosa dice? Dice che la Germania è al posto numero 106 del ranking globale per la facilità di fare business, al 31mo posto per la banda larga mobile, al 75mo per la solidità delle banche, al 127mo per la facilità di assumere e licenziare e al 139mo per la flessibilità salariale: insomma, non è che proprio possono dare lezioni al mondo intero. Inoltre, il reddito pro-capite medio dal lancio dell’euro in Germania è cresciuto a un tasso che è la metà di quello francese, essendo però Parigi la pentola a pressione pronta a scoppiare nell’eurozona. Quindi, a cosa deve la sua primazia continentale la Germania? All’abbattimento salariale, allo sfruttamento di tassi nominali più bassi che permettono alle Pmi tedesche di prendere denaro al 2,5% contro il 5-6% di quelle italiane o spagnole, alla concorrenza di fatto sleale in un rigidità di cambio e in un sovradimensionamento dell’euro che uccide i paesi a vocazione manifatturiera come il nostro.

Con la domanda dai mercati emergenti in calo, poi, anche la vocazione all’export finirà e il mondo capirà che la Germania ha giocato sulla pelle dei suoi cittadini, barattando tagli salariali per surplus commerciali resi possibili unicamente dagli investimenti in eccesso cinesi. Per finire, il trend demografico, molto simile a quello giapponese, che stando alla Commissione europea vedrà un calo della forza lavoro pari a 200mila unità in meno l’anno fino al 2020. Una bomba, quindi, anche per il sistema pensionistico, visto che il think tank Open Europe in uno studio parla di «bomba a orologeria demografica, visto che le liabilities per la sicurezza sociale portano già oggi il livello del debito pubblico tedesco sul Pil al 192%». Mentre l’Italia, riforma da massacro dopo riforma da massacro, è al 146%.

Ora, che il nostro Paese sia malandato non lo scopro io, ma siamo proprio sicuri di prendere lezioni da maestri che si arrogano da soli il diritto a quel ruolo? O meglio, siamo sicuri che le loro lezioni, le loro ricette, le loro imposizioni, siano per il nostro bene e per quello dell’Ue e non per il loro? Sapete, fino a pochi mesi fa la questione delle liabilities all’interno del sistema Target2 era bollato come un falso problema, soprattutto in Germania, dopo solo l’Ifo Institut ha dato vita a un dibattito al riguardo. L’altra sera, invece, sempre Udo Gumpel ha parlato chiaro e in maniera preoccupata con Stefano Fassina di quei soldi che la Bundesbank avrebbe prestato alla Banca d’Italia attraverso Target2 e con l’approvazione magnanima e benevola della Merkel verso un questuante Draghi in cerca di quattrini per il suo scombiccherato Paese. Ora, come ci ricorda Lorenzo Bini-Smaghi nel suo libro “Morire di austerity” (certo vincitore della categoria “Non aprite quel libro”, visto il silenzio mediatico che lo ha attorniato, al netto di contenuti tutt’altro che scontati), proprio Angela Merkel è rimasta convinta della possibilità di espellere la Grecia dall’eurozona fino al tardo autunno del 2012, salvo poi essere riportata a più miti consigli proprio dalla Bundesbank, la quale le fece notare i 574 miliardi di euro di crediti che vantava verso le banche centrali di Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Cipro e Slovenia attraverso il programma Target2.

Quindi, un altro mito che crolla: non è vero che il sistema di pagamento interno della Bce è soltanto una variazione tecnica, senza rischi significativi, in caso una nazione decidesse o fosse obbligata a lasciare la moneta unica. Per Bini-Smaghi, infatti, «la banca centrale (di quel Paese, ndr) non sarebbe stata in grado di ripagare le liabilities accumulate verso altri membri dell’eurosistema, le quali sono registrate nel sistema di pagamento interno dell’Unione (Target2). L’insolvenza provocherebbe perdite sostanziali per le controparti nelle altre nazioni, inclusi Stati e banche centrali». Ora, cosa sa Udo Gumpel che noi non sappiamo per essere così preoccupato riguardo Target2? L’Europa è talmente stabilizzata, come ha trionfalmente dichiarato la scorsa settimana Wolfgang Schaeuble al Financial Times, da esserci il timore che uno Stato debitore di fondi possa uscire dall’euro in insolvenza e non ripagare? È questo il timore che c’è nella Germania post-elezioni? Perché se è questo, meglio saperlo subito ed evitare lezioni da chi ha già una sua agenda politica decisa e scritta, certamente non nell’interesse comune.

La mossa del ministro delle Finanze greco, letta attraverso questa lente, parla una lingua molto differente dai dati dell’indice flash Pmi di inizio articolo. E attenzione, perché qualcosa di poco piacevole potrebbe essere non troppo distante. Venerdì 20 settembre, alle 20.05, il sito di Monte dei Paschi pubblicava il seguente comunicato: «Banca Monte dei Paschi di Siena comunica che, in relazione ai titoli (….), l’emittente eserciterà, come già accaduto il 6 febbraio per il titolo denominato “Euro 350,000,000 MPS Capital Trust I 7.990% Noncumulative Trust Preferred Securities (ISIN: XS0121342827), la facoltà di non procedere al pagamento degli interessi maturati alle prossime date di pagamento cedolari previste, rispettivamente, a partire dal 30 settembre p.v., 21 settembre p.v. e 27 settembre p.v.. Tale sospensione del pagamento degli interessi è consentita, ricorrendo determinati presupposti, dai rispettivi regolamenti dei summenzionati titoli. Per ulteriori informazioni relativamente ai suddetti titoli si rinvia ai relativi prospetti di quotazione consultabili sul sito della Luxembourg Stock Exchange www.bourse.lu».

Cosa significa? Che Mps nei prossimi giorni non pagherà gli interessi su tre notes ibride per circa 481 milioni. Siamo alla vigilia di un effetto cipriota in sedicesimi e prodromico alla nazionalizzazione? E il fatto che le azioni privilegiate undated e non cumulative emesse attraverso Antonveneta Capital Trust II abbiano perso 5 centesimi sull’euro, arrivando a quota 41 centesimi, il livello più basso dal 23 aprile, significa che gli investitori si attendono un buy-back da parte della banca senese a un valore di poco più basso dell’attuale livello di trading? Domani Mps terrà una conference call: ne sapremo di più. Forse. 

Nel frattempo, l’ennesima conferma che il sistema bancario europeo è solido come una roccia, l’ha offerta Mario Draghi in persona, il quale parlando di fronte al Parlamento europeo si è detto «pronto a usare qualsiasi si strumento, incluso un altro Ltro, per mantenere la politica monetaria». Olé, altra mega-asta di rifinanziamento a pioggia, stavolta magari allo 0,5% di interesse, così il carry-trade diventa bello corposo sui titoli di Stato! Qualcuno, forse, in queste ore sta cominciando ad affogare.

 

P.S.: Mi sbaglierò ma a mio avviso c’è il forte rischio che la Germania in novembre, massimo gennaio, tornerà alle urne. A quel punto, chi ha bisogno di un sell-off sarà accontentato. E Draghi dovrà aprire le casse.