Il governo Letta sembra ormai avere preso atto che un aumento dell’aliquota Iva al 22% non è più rinviabile. Il rapporto deficit/Pil cresciuto al 3,1% rischia di riaprire la procedura di infrazione Ue, e il commissario europeo per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn, nel corso del suo recente intervento di fronte alla Camera dei deputati ha fatto capire che l’Ue non farà sconti. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, si dichiara pronto a dimettersi se non scemeranno le pressioni sul Governo, mentre il Premier Enrico Letta sembra voler tagliare il cuneo fiscale più che badare all’Imposta sul valore aggiunto. Per Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia internazionale all’Università di Chieti-Pescara, «l’aumento dell’Iva va evitato a tutti i costi perché si tratta di un’imposta iniqua e recessiva. Il governo Letta non è stato capace di fare valere le ragioni italiane sui tavoli europei, mentre bisognerebbe invocare l’articolo 11 della Costituzione, che consente di cedere porzioni della nostra sovranità solo a parità di condizioni».
Professor Rinaldi, ritiene che l’aumento dell’Iva vada evitato?
L’aumento dell’Iva va evitato assolutamente. Il primo motivo è che si tratta di un’imposizione iniqua, che colpisce tutti indistintamente a prescindere dal reddito. Ma soprattutto va a colpire i consumi, rispetto ai quali in questo momento c’è una contrazione sensibile. Dall’inizio dell’anno c’è stato un crollo verticale della spesa degli italiani, e quindi anche del gettito Iva. Aumentare l’aliquota avrebbe come conseguenza il fatto di diminuire sensibilmente le entrate.
Al di là dell’aumento o meno, che cos’altro non la convince dell’Iva?
Si parla tanto di “unione fiscale” e l’Iva è una tassa comunitaria. Mi domando come sia possibile che dal 7 febbraio 1992, cioè dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, non si sia riusciti a uniformare le aliquote Iva nell’ambito di tutti i paesi del mercato comune. In Europa abbiamo la libera circolazione dei beni e servizi, ma per fare un paragone è come se ci fossero aliquote Iva diverse a seconda che ci si rechi a Torino, a Roma o a Milano.
Lei ritiene che il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil vada rispettato?
No, anche perché altri paesi, a iniziare dalla Francia, dal 2000 a oggi lo hanno sforato più volte. L’Italia d’altra parte si trova in una crisi recessiva senza precedenti, se non con l’eccezione del 1929, e non si capisce quindi perché le regole debbano essere così rigide soltanto nei nostri confronti. La Francia oggi ha un rapporto deficit/Pil del 4,5% e la Spagna del 7%. Ciò che è mancato al nostro governo è stato un minimo di capacità di aprire una trattativa per sforare anche di pochi decimi il tetto prestabilito.
Un ulteriore indebitamento farebbe bene all’Italia?
Non dimentichiamoci che l’Italia continua a prestare le sue quote per quanto riguarda il Fondo salva-Stati, o Meccanismo Europeo di Stabilità. Non capisco come mai si riescano a trovare senza alcun problema somme superiori ai 2 miliardi, mentre per il miliardo di euro necessario per scongiurare l’aumento Iva nei prossimi 3 mesi ci sono così tanti problemi. L’Italia dovrebbe avere un potere contrattuale superiore, ma purtroppo né questo governo, né quello precedente hanno la capacità e la volontà di perorare questa causa che negli ultimi cinque anni ci ha fatto perdere un milione di posti di lavoro.
L’aumento dell’Iva è un’imposizione europea?
Sì. Il commissario europeo per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn, qualche giorno fa è venuto addirittura nel Parlamento italiano a dirci che cosa dobbiamo fare. Ha sottolineato che l’Imu sulla prima casa non doveva essere cancellata, anzi bisognava provvedere all’imposizione di nuove tasse per sopperire alla mancanza di introiti. La sovranità dell’Italia è quindi messa gravemente in discussione. L’articolo 11 della Costituzione ci vincola sulla possibilità di cessione di porzioni di sovranità solo a parità di condizioni. È un principio che anche noi dobbiamo invocare più spesso, dal momento che altri paesi riescono a farlo tranquillamente mentre l’Italia se lo è del tutto dimenticato. È vero quindi che l’Ue impone l’aumento dell’Iva, ma sta all’Italia fare valere le sue ragioni come hanno fatto anche altri paesi.
L’abolizione dell’Imu sulla prima casa, il mancato aumento dell’Iva e il taglio del cuneo fiscale sono davvero tre obiettivi conciliabili?
Quando parliamo di riduzione delle imposte sul lavoro, non consideriamo il fatto che l’Italia deve avere necessariamente una pressione fiscale elevata proprio perché il principale strumento a disposizione di tutti i governi per la gestione finanziaria del proprio debito ci è stata tolta. Le risorse per fare fronte ai bisogni dello Stato oggi possono essere reperite solo con le tasse o con il taglio di spesa. Quando l’Italia aveva la lira c’era invece la possibilità di stampare valuta e quindi di monetizzare i fabbisogni finanziari. In questo momento ciò non è possibile, e quindi di fatto attraverso l’imposizione fiscale sia i cittadini che il sistema delle imprese sono considerati i prestatori di ultima istanza.
(Pietro Vernizzi)