«L’aumento di capitale di Telefonica all’interno di Telecom pone diversi interrogativi, in quanto ci si chiede se sia opportuno affidare un’infrastruttura fondamentale come la rete fissa nelle mani di un socio non italiano». Ad affermarlo è Francesco Chirichigno, ex amministratore delegato di Telecom Italia dal 1994 al 1997. Ieri Franco Bernabè, attuale ad dell’azienda italiana, ha riferito alla Commissione Lavori pubblici del Senato, spiegando che è venuto a conoscenza del riasseto di Telco solo martedì mattina attraverso i comunicati stampa. Inoltre, ha spiegato che si dovrà procedere all’aumento di capitale per evitare il downgrade del debito da parte di Moody’s. Per Chirichigno, «la responsabilità dell’attuale indebolimento di Telecom è dei manager che nel 1999 compirono la scalata indebitandola. Le telecomunicazioni sono una struttura che ha bisogno di enormi investimenti i cui ritorni sono sicuri ma a lungo termine, e sono quindi incompatibili con una situazione di indebitamento».



Che cosa ne pensa dell’operazione di Telefonica?

Le telecomunicazioni sono fondamentali per lo sviluppo del nostro Paese. Occorre che si cambi marcia e che quindi si attui una politica che permetta a questo mondo di svilupparsi. Per riuscirci occorrono capitali, e l’inclusione di Telefonica è una conseguenza abbastanza logica dal momento che la compagnia spagnola fa parte del Gruppo Telco, i cui soci hanno deciso di dismettere le loro quote. È quindi normale che uno dei soci naturali si sostituisca a quelli puramente finanziari. Dopo l’ingresso in modo così forte e determinante, da ciò che si sa dal Memorandum che è stato firmato l’altra notte, Telefonica acquisirà il 100% delle azioni Telco.



Quali problemi sorgono con questa operazione?

Il vero problema che nasce, e che è già stato studiato, è che si riteneva ormai da tempo che Telecom attuasse lo scorporo della rete, e che quindi questa rete dovesse avere un certo tipo di comportamento nei confronti del territorio, del pubblico e dei competitor. L’ingresso di Telefonica, un gestore spagnolo, pone all’Italia un problema e un interrogativo. Ci si chiede cioè se un’infrastruttura, ritenuta fondamentale da tutti i paesi del mondo, possa essere di proprietà di un socio non italiano.

Quali sono stati i fattori che hanno portato Telecom a indebolirsi nel corso degli anni?



La Telecom che ho lasciato era ricca sotto tutti i punti di vista, perché all’epoca si lavorava più per aumentare il valore dell’azienda che per distribuire dividendi. I problemi della compagnia italiana sono incominciati quando è stata attuata una scalata a debito, cioè senza soldi in contanti, passando così da una situazione finanziaria molto florida a condizioni tali da imporre alla società di lavorare non soltanto per fare utili, ma per pagare i debiti. Quando i debiti sono eccessivi portano naturalmente a una situazione piuttosto difficile da gestire, perché le telecomunicazioni sono una struttura che ha bisogno di enormi investimenti i cui ritorni sono sicuri ma a lungo termine.

 

Che cosa se ne farà ora Telefonica della maggioranza di Telecom?

Le possibili sinergie tra due società di telecomunicazioni sono infinite. A fronte di un progetto che per il momento sembrerebbe soltanto finanziario, anche se in realtà non è così, ci sarà un piano industriale. Le sinergie consentiranno una diminuzione dei costi e quindi un’ottimizzazione dei risultati.

 

Ritiene che il governo italiano avrebbe dovuto fare qualcosa invece di restare a guardare?

Se non altro avrebbe dovuto dire se è o meno d’accordo, anche se non sempre in questi casi vale la regola del silenzio-assenso. Lunedì ho partecipato a un convegno nella sede dell’Unione europea, cui erano presenti tutti i politici e gli amministratori delegati che potevano dire la loro. Tra i politici c’era anche il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, ma nessuno ha fatto un solo cenno al caso Telecom. Quindi evidentemente avevano l’obbligo del silenzio perché la notizia dell’acquisizione non era ancora stata resa nota, ma ritengo che un tipo di comunicazione d’indirizzo potesse anche essere messa in atto.

 

(Pietro Vernizzi)