“Un attacco in Siria bloccherebbe il gas russo e diventerebbe un ulteriore ostacolo alla commercializzazione del petrolio iraniano, sul quale esiste già un embargo. L’effetto sarebbe quello di fare impennare i prezzi dei combustibili, con conseguenze molto negative per l’economia globale”. A denunciarlo è Mario Seminerio, direttore del blog Phastidio.net. Sono bastate del resto le dichiarazioni di Obama, che ha ventilato l’ipotesi di una guerra in Siria, per fare sì che la benzina verde a Milano superasse i 2 euro al litro. Ma anche per le imprese le conseguenze di un intervento militare contro Assad sarebbero pesanti. Prima dell’embargo contro Damasco, l’Italia importava metà del petrolio siriano, mentre le nostre aziende si aggiudicavano le gare d’appalto per le trivellazioni ed esportavano alimenti e beni di lusso. Ma un’eventuale caduta del dittatore avvantaggerebbe anche l’economia di altre nazioni.



Seminerio, se Obama intervenisse in Siria quali sarebbero le conseguenze per il mercato dell’energia?

La Siria non è un Paese che contribuisce all’offerta globale di petrolio. Prima dell’inizio della guerra civile aveva una produzione di poco inferiore ai 400mila barili al giorno, che erano destinati in larga parte al consumo domestico. Non si può quindi dire che, se gli Stati Uniti decidessero di intervenire, la motivazione sarà il petrolio. Il problema è che in questo momento è in atto una riduzione dell’offerta mondiale di greggio che è abbastanza preoccupante. A prescindere dalla stessa situazione siriana, in Nigeria la produzione è crollata a causa dei numerosi furti e ai gravi problemi nel controllo degli oleodotti.



Si tratta di un problema che riguarda la sola Nigeria?

No, nello stesso tempo in Libia e in Iraq il controllo del territorio da parte del governo sta collassando, mentre entrambi i Paesi stanno andando verso una guerra per bande. Ciò ha provocato dei pesanti cali di produzione, mentre per altre motivazioni un rallentamento nell’estrazione petrolifera si sta verificando anche in Russia. A ciò va sommato l’embargo contro l’Iran che da tempo non esporta più in Occidente. Le tensioni sulla Siria giungono quindi in un momento in cui è in atto una riduzione nell’offerta di greggio rispetto alla domanda. Poiché il mercato tende ad avere comportamenti speculativi, il rialzo dei prezzi è stato amplificato.



Un coinvolgimento occidentale in Siria peggiorerebbe la situazione?

L’attacco di Stati Uniti e Paesi europei contro la Siria in quanto tale non provocherebbe una riduzione nella produzione di greggio. Non va però trascurato l’effetto che sarebbe provocato da un coinvolgimento quantomeno politico di Russia e Iran nella vicenda, dal momento che la Siria è un protettorato di Mosca e Teheran. Russia e Iran sono tra i principali produttori mondiali di gas e petrolio, e quindi i prezzi del greggio per un certo periodo sarebbero molto elevati, anche a prescindere dal fatto che l’attacco si verifichi a breve o meno. La sola idea che possa esserci un attacco continua a mantenere i prezzi del greggio su livelli sostenuti. Se i prezzi del petrolio restano elevati a lungo, è chiaro che l’economia mondiale entra in sofferenza, che ci sia o meno un attacco militare alla Siria.

 

Se Assad dovesse cadere, c’è il rischio che al posto delle imprese italiane che fino a poco tempo fa erano attive in Siria subentrino dei concorrenti stranieri?

Questo è un problema che vale per tutti. Occorre ricordare che la Siria è spaccata ancora una volta lungo linee etniche e religiose, e di conseguenza il rischio è che da un’eventuale caduta di Assad possano derivare una fase di instabilità e di conflitti protratti, creando delle condizioni simili a quelle presenti in Iraq e in Libia. Sarebbe un danno per tutti, ed evidentemente anche per l’Italia, nella misura in cui facciamo affari con questi Paesi del Medio Oriente. Infine una domanda sulle questioni di casa nostra.

 

Che cosa ne pensa della proposta di un bond per tagliare le bollette elettriche, contenuta nel decreto del Fare bis?

Si tratta di un espediente che non risolverebbe il problema alla radice. Un bond da tre miliardi servirebbe per tagliare le bollette del 7-8% per due anni. Al termine dei 24 mesi bisognerebbe quindi emettere nuovo debito in aggiunta ai tre miliardi oppure le bollette ritornerebbero al prezzo originario. Per l’ennesima volta è una soluzione tampone. Attendo maggiori indicazioni su questa proposta, che però allo stato attuale mi sembra bizzarra.

 

(Pietro Vernizzi)