La fine della saga (italiana) di Telecom Italia non è “triste”, in quanto se il servizio è buono e le tariffe adeguate poco conta se “la stanza dei bottoni” è a Roma, Milano o Madrid. È “trista” – si consenta a un siciliano di utilizzare, di tanto in tanto, il proprio vernacolo. “Trista” vuol dire ciò che a Pisa e dintorni si dice “birba”, ossia un po’ malandrina. Con colpi di scena degni di un’opera buffa, come quella di un Presidente Esecutivo, che, passato indenne attraverso Enimont e tante altre tempeste, apprende da un comunicato stampa quel che fanno i suoi maggiori azionisti.



Il 3 ottobre è convocato il Consiglio d’amministrazione che verosimilmente si concluderà con il cambio di Presidente Esecutivo e con il controllo dell’azienda da parte della “consorella” spagnola che ha tutto l’interesse a spostare in terra iberica sia il cervello dell’impresa che eventuali nuovi impianti. Può essere che gli utenti italiani ne trarranno beneficio: molti hanno da anni optato per altri operatori sia fissi, sia mobili disponibili sul mercato. È indubbio che l’occupazione ne soffrirà e che verosimilmente verranno penalizzate anche la ricerca e l’innovazione su suolo italiano in uno dei settori più importanti per l’economia del ventunesimo secolo.



Non è questa la sede per rievocare la saga Telecom; da tredici anni redigo ogni anno il capitolo sulle liberalizzazioni della società italiana dell’associazione Società Libera e chi fosse interessato al mio punto di vista e alla sua evoluzione po’ trovarlo qui. Alla vigilia del CdA mi preme porre l’accento su due aspetti: a) il futuro della rete; b) il “male oscuro” di molte imprese di telecomunicazioni (che nel caso di Telecom Italia è esploso all’ennesima potenza). Il primo riguarda il breve periodo. Il secondo il lungo.

Nel breve periodo, è parso, per lo “spazio di un mattino” (come dice un proverbio francese), che si tentassero interventi legislativi dell’ultim’ora o per impedire l’acquisto da parte della spagnola Telefonica delle quote Telco di Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca o per giungere a uno “scorporo forzoso” della rete. L’ipotesi è pura fantascienza: ci saremmo posti al di fuori delle regole Ue e, in aggiunta, la Spagna avrebbe avuto pieno titolo a deferirci alla Corte di Giustizia europea e anche agli organi giurisdizionali della World Trade Organization, anche in quanto il Governo di Madrid non ha mosso neanche una sopracciglia quando il nostro Enel ha assunto il controllo della loro Endesa. Quindi, se scorporo ci sarà, sarà “volontario”.



Il Parlamento avrebbe dovuto “scorporare” la rete quindici anni fa, prima che con il “nocciolino duro” dello 0,7% posseduto da Fiat, Telecom Italia fosse privatizzata. Nell’eventualità che il nuovo azionista di controllo voglia privarsi della vera polpa dell’azienda – per l’appunto la rete – occorre stabilire il prezzo per unità locale di unbundling. Il prezzo attualmente stimato a 9,28 euro, con una proposta dell’Agcom di ridurlo a 8,68, appare troppo basso alla luce dei 10 euro fissati in Germania (dove c’è, però, una molto maggiore diffusione di banda larga). Sempre congetturando la disponibilità di Telefonica di separarsi dalla “rete”, occorre chiedersi chi, dato lo stato del manufatto (la relativamente poca diffusione della banda larga), sarà pronto a scommettere sulla redditività dell’acquisto.

E qui veniamo all’aspetto di lungo periodo. Come sottolineato il 23 settembre su questa testata, una caratteristica del settore è il differenziale tra rendimenti economici alla collettività e rendimenti finanziari all’azienda. Una regolamentazione attenta e un management abile possono, anche in regime di mercato libero, concorrenziale e aperto al resto del mondo, curare questo nodo. Non sta a me discettare di regolamentazione in questa sede. I nuovi “entranti” sul mercato italiano dimostrano, però, che se il management è di qualità si riescono a superare difficoltà come “l’ultimo miglio” per agganciarsi alla rete e la tradizionale diffidenza degli utenti a lasciare operatori con i quali si è usi a lavorare.

Dubito che il management sia stato all’altezza ai tempi del monopolio quando (nomi e cognomi sono su tutti i giornali) la sua principale preoccupazione pare essere stata quella di assicurarsi “pensioni d’oro”. Non è stato, però, migliore nei vari passaggi di mano di chi si indebitava sino al collo nell’illusione di godere di una rendita che non c’era.